STORIA DI ANDREA, ANGELO DI SECONDA CLASSE. È SOLO MA SALVA UN BAMBINO
DI CLAUDIA SABANegli ultimi tempi si è andata sempre più gonfiando la rabbia, l’odio, la paura.Ecco. La paura.Vera, grande protagonista dei nostri giorni.La paura di vivere, di non farcela o, semplicemente, la paura di restare soli. Paura del futuro.Ma in fondo, abbiamo tutti paura del domani.Anche Andrea ha paura del domani.Catapultato a Londra, dopo il licenziamento da parte della sua azienda.La fabbrica ha deciso di mandare a casa tutti i dipendenti per aprire un nuovo stabilimento all’estero, dove i lavoratori costano molto meno che in Italia.Si è messo in viaggio due giorni prima del Natale insieme a sua moglie e alla loro bambina di tre anni.Prima di partire aveva inviato curriculum in tutta Europa fino a quando era arrivata quellaproposta di lavoro da Londra, che aveva deciso di accettare.La sua è sempre stata una vita tranquilla.Lavoro e casa. I giochi nel parco con la sua bambina e niente di più. Ma loro sono felici così, con poco.Non era stato facile lasciare la loro città, la loro vita.Ma lì a Napoli, non aveva avuto altre possibilità di lavoro.Preoccupato ma deciso a compiere quel viaggio con la speranza di un futuro diverso.È quasi sera quando scendono dall’aereo.Inizia già a fare buio e la loro stanza, non sarà disponibile fino al giorno dopo.Si avviano subito verso un Hotel e chiedono una stanza per la notte.Non ne hanno. L’ultima disponibile è stata appena prenotata.È l’antivigilia di Natale e la città è piena di turisti.C’era da immaginarselo che avrebbero avuto problemi per la notte, ma un disguido dell’ultimo momento, li aveva costretti a partire un giorno prima del previsto.Andrea cammina veloce tenendo più stretta la mano di Thaira, sua figlia.Si ferma in ogni albergo,ma niente.La risposta è sempre la stessa.Nessuna stanza libera.Stanchi, raggiungono una panchina dove sprofondano sfiniti.Una giornata logorante con la notte che si preannuncia ancor più complicata.L’amarezza e lo sconforto li assalgono.Sulla panchina di fronte c’è una donna seduta, con un bambino tra le braccia.Andrea la guarda.“Avrà poco meno di 30anni”, pensa.Sul suo viso la disperazione, accentuata da una smorfia di dolore disegnata sulla fronte.La tristezza dell’abbandono.All’improvviso la donna di alza, prende per mano ilbambino e si allontana.Si muove piano e con passi barcollanti arriva fino al ponte. Poi si ferma.Sotto, le acque calme del Tamigi scorrono silenti.La donna prende in braccio il bambino, lo poggia sul parapetto e guarda giù, nel letto silenzioso del fiume.Il piccolo inizia a piangere, poi ad urlare sempre più forte, urla che si perdono nell’aria quando la donna lo getta giù dal parapetto.Andrea senza alcuna incertezza e senza curarsi dei vestiti, corre più in fretta che può e si tuffa nell’acqua gelata.È buio ma riesce avederlo quasi subito.Lo afferra e tenendolo stretto a sé lo riporta a galla.Poi lo poggia sul prato, esausto.Sono entrambi gelati dall’acqua ghiacciata del fiume, dalla paura che intorpidisce, ma entrambi sono salvi.Una tragedia trasformata in miracolo.Una grande generosità in un momento di difficoltàha generato l’amore.La mamma del piccolo si risveglia dal torpore, mentre le lacrime iniziano a scenderle sul viso, si mischiano alle gocce di pioggia, alla disperazione lavata via da quel gesto immenso.Poi corre incontro a suo figlio e lo abbraccia, insieme a quello sconosciuto che ha rischiato la sua vita per salvarlo.Il cielo si è fatto più chiaro adesso.Un cielo limpido, colorato di speranza.È il colore del cuore.Dove le anime si parlano in silenzio e hanno già detto tutto.Sua moglie lo guarda da lontano, ancora incredula per quanto accaduto.E per la prima volta vede Andrea per quello che è.Un uomo grande, sensibile come non lo aveva mai visto.Tutti erano spaventati daldomani.Ma insieme, il domani era già arrivato e la paura aveva fatto spazio al cuore.La donna interroga Andrea. Vuole sapere perché si trovano lì a quell’ora della notte.Racconta in fretta la sua storia ma Racid, il bimbo salvato da un miracolo, prende per manoThaira dicendo: “Non avere paura.Stanotte dormirai con me nella mia stanza”.Lei lo guarda negli occhi con la capacità che hanno i piccoli, di rendere semplice l’amore.Una qualità che noi adulti, spesso dimentichiamo.Presi da mille paure che ci dividono, ci allontanano persino da noi stessi.Loro no.Avevano messo via ogni remora, ogni giudizio, ogni falsa ipocrisia.La paura nel domani.Dopo tante parole,forse è arrivato il momento di riflettere, di comprendere, di “darci”.Le urla dei bambini ci riportano alla realtà, risvegliandoci dal torpore dell’indifferenza in cui siamo piombati.Stiamo diventando ciò che non siamo mai stati, esseri incapaci di provare empatia e umanità.L’amore, a volte, arriva da lontano. Da qualcuno mai visto prima che, cercando il suo futuro riesce a salvare anche il tuo.Forse sarebbe meglio ascoltare in silenzio il cuore dei bambini.Il nostro, se restiamo muti,possiamo ancora sentirlobattere.
