TUTTO IL MONDO È PRESEPE: “AVEVO SOLO 14 ANNI E NON È IMPORTATO A NESSUNO… “

< Laura aveva gli occhi azzurri come il cielo a primavera, occhi capaci di ridere e scaldare come raggi di sole in una giornata d’agosto. E andava pazza, come me, per i cornetti con la nutella. A casa, il boss ci dava poco da mangiare. Diceva che dovevamo essere in forma, che i clienti quelle grasse non le vogliono. << Lo faccio per voi, bellezze…>>. Diceva questa stronzata ridendo. Una risata dura, cattiva, che ci metteva il gelo addosso. Sapevamo tutte che non c’era niente di peggio che non piacere ai clienti. E così Laura ogni volta che un cliente si “innamorava” di lei, e capitava spesso, si faceva portare due cornetti stracolmi di cioccolata. Uno per lei, uno per me. Li mangiavamo ridendo come matte di nascosto, quando nessuno poteva vederci. Lei aveva quindici anni ed io quattordici. Laura diceva che ero la sua sorella più piccola. Di sorelle vere ne aveva una a Bacau, su in Romania. E le voleva pure un gran bene. Ma da più di un anno, da quando si era ritrovata su di un marciapiede italiano, non ne aveva più notizie. Era proibito a tutte noi telefonare.E così da otto mesi, da quando ero arrivata anche io in quella brutta casa alla periferia di Roma, attirata come lei dalla promessa di un lavoro ben pagato come cameriera in un ristorante, ero divenuta io sua sorella. Raccoglieva le mie lacrime. Veniva a dormire accanto a me la notte quando gli incubi mi mangiavano l’anima. Era l’unica a parlarmi pur sapendo di rischiare un sacco di botte perchè era proibito anche parlare troppo tra noi. E a decidere quando e quanto fosse troppo era il boss ed i suoi malumori.Diceva sempre che se un giorno ce l’avessimo fatta a sopravvivere e a venir fuori da quello schifo di vita io sarei rimasta per sempre la sua sorellina, che quel dolore che faceva da cielo livido alle nostre esistenze ci aveva unite per l’eternità. E sognavamo insieme un futuro di cose belle e semplici. Passeggiate, giochi da fare, il mare che non avevamo mai visto e ridevamo stringendoci forte le mani. Ridevamo, sognavamo, per non morire dentro, per essere almeno per pochi secondi due ragazzine. Era bella Laura. Aveva i capelli biondi e lunghi, il viso affilato e dolce e forme già da donna a differenza di me che mi ostinavo a restare ossuta peggio di un maschiaccio. Ed era la più coraggiosa di noi, di tutte le prigioniere della casa. Non abbassava mai lo sguardo, neanche quando il boss ed i suoi uomini la picchiavano, neanche quando per umiliarla la prendevano davanti a noi tutte… Il capo la odiava per questo. Le aveva provate tutte per stroncare la sua resistenza. Una volta l’aveva obbligata a ripulire il bagno che lui ed i suoi amici avevano insudiciato più del solito. Doveva farlo con la lingua. Lei aveva obbedito ed era tornata indietro sempre con la testa alta. Poi, quando tutti dormivano, aveva vomitato più volte, piangendo di rabbia. Il giorno dopo, però, il cielo limpido e immenso dei suoi occhi era lì come sempre, più forte di ogni offesa, persino della morte, a sfidare le iene che ci tenevano prigioniere. “ Prima o poi ti ammazzo, stronza…” le diceva spesso quell’infame, ma evitava di guardarla Parlava sul serio. Sapevamo benissimo che era capace di farlo e che se fino ad allora non era successo era solo perché Laura era la migliore della squadra. Di noi sette era quella che i clienti preferivano e così la notte, ogni notte, quando si tornava nella nostra prigione, era Laura a consegnare più soldi. Fissava il capo con disprezzo, quasi gli buttava i soldi addosso e poi girava i tacchi e se ne andava a dormire incurante delle bestemmie e degli insulti di quell’animale. Quella sera vedemmo avvicinarsi una macchina scura. Dentro erano in due. Pensammo che fossero dei clienti. Uno scese e vedemmo che era rumeno come noi. Ci guardammo, mentre quello si avvicinava, come a chiederci cosa stesse accadendo. Quello arrivò a meno di un metro da noi. Fissò me, poi Laura. E scelse. Fu un attimo, solo un piccolissimo attimo. Sentii un botto terribile. Ricordo un lampo di fuoco. Poi Laura a terra con il volto sfigurato e ricoperto di sangue e carne bruciata. Il suo corpo tremò di dolore qualche secondo, i suoi occhi mi cercarono e poi restarono immobili fissi su di me come in una disperata preghiera mentre una voce sibilava feroce nel mio orecchio. ” Di al tuo boss che se domani non ricevo i miei soldi, vi ammazzo tutte!” >>. Alessandra sta tremando, si torce le mani. Una bimbetta di qualche anno le si aggrappa ai jeans e le mormora qualcosa di dolce. É una delle tante sorelline di cui ha deciso di occuparsi da quando sei mesi fa, dopo aver denunciato alla polizia i suoi aguzzini, è tornata nel suo paese ospite di una struttura protetta che raccoglie un centinaio tra ragazzine come lei e piccoli orfanelli. Ed allora lei le carezza la testolina, le sorride e promette che presto tornerà a giocare Alessandra, il “maschiaccio” come si racconta lei, ora di anni ne ha sedici e sembra un fiore in boccio nonostante faccia tutto per nasconderlo. Le psicologhe del centro mi hanno raccontato che questa ragazzina, sempre taciturna se non quando è in compagnia delle più piccoline che la adorano, porterà per sempre i segni profondi dell’orrore che ha vissuto. Soffre di disturbi del sonno, di claustrofobia estrema, ha una totale mancanza di fiducia nel mondo, soprattutto nei confronti degli uomini. E odia il suo corpo, il suo essere donna. Quasi fosse una colpa, la causa di tutto ciò che ha dovuto vivere e sopportare. Stanno lavorando, e grazie a Dio con qualche successo, sulla sua autostima. << Sentii il suo calore, il calore di Laura che tante volte mi aveva rassicurata, un’ultima volta. Era sulle mie mani, sul mio corpo. Vischioso, liquido. Il suo sangue. Ricordo solo che ebbi la forza di chiuderle gli occhi. Più che per pietà, lo feci perchè non sopportavo quella disperazione nell’unico cielo limpido che avessi visto da tanto tempo. Mi sentii urlare e poi tanto buio, solo buio. Mi risvegliai a casa strattonata dal boss. Ero smarrita, provavo un dolore lancinante, facevo fatica a connettere, ma lui voleva sapere. Mi schiaffeggiò. “ Parla, stupida cagna! Chi è stato?”. Con un filo di voce ricordai, innanzitutto a me stessa, quello che era successo. Dalla sua bocca uscì un diluvio di bestemmie. Mi spintonò via e raggiunse i suoi uomini. Una delle ragazze origliò i loro discorsi. Ad assassinare Laura era stato il Lupo. Il nostro capo non gli aveva voluto pagare la tassa che pretendeva per aver occupato il tratto di strada dove battevamo……. daCOL CUORE COPERTO DI NEVEdiSilvestro Montanaro