X-MEN – DARK PHOENIX: COMPLESSO DI EDIPO SPAZIALE NELLA PRIMA PUNTATA SENZA STAN LEE

Le emozioni ti rendono debole. No, ti rendono forte. Questo è il dilemma, enunciato e infine risolto, come in una fiaba psicoanalitica, dalla nuova puntata di X-Men,Dark Phoenix, dodicesimo capitolo di un brand da 5 miliardi di dollari: si impila dopoX-Men – Apocalisse, che aveva visto il ritorno alla regia di Bryan Singer,Logan -The WolverineeDeadpool 2, e prima diNewMutants, la cui uscita è prevista per il 2020. X-Men – Dark Phoenix, scritto e diretto da Simon Kinberg, sceneggiatore e produttore veterano della serie, ha per centro la storia di Jean Grey (Sophie Turner): dall’incidente d’auto che lei bambina ne coinvolge i genitori, all’arrivo a Mansion X, al potenziamento delle sue facoltà telepatiche e telecinetiche durante una missione spaziale, che la mette a contatto con una scintilla del Big bang e la porta letteralmente fuori dai gangheri. Quella che sembra una pericolosa crisi di identità è la trasformazione di Jean in Fenice, nera per di più. Non bastasse, la super eroina è braccata e plagiata dall’aliena Jessica Chastain, dai capelli bianchi e dagli alti tacchi, pure sexy, che vuole con un pool di suoi compari sottrarci la Terra. Dark Phoenix– il film si muove tra risentimenti edipici, nutriti dalla Fenice per il padre vero e per Charles Xavier, attacchi di panico e di rabbia, lezioni di pedagogia spicciola a uso dei diversi, siano pur essi individui superiori (con l’accento sul super), e si risolve nei lunghi momenti in cui il combattimento si svolge in confronti mentali al calor bianco tra forze contrapposte, che provocano il correlativo oggettivo di disastri spettacolari.Sono i sentimenti, e le emozioni, come si diceva prima, che uniscono o dividono i nostri eroi: X (James McAvoy) finisce addirittura messo sotto processo dai suoi ragazzi per essersi imborghesito e aver preferito i contatti col potere (‘Buongiorno Presidente!’) agli azzardi salutari della battaglia per il bene. E soprattutto della morte di uno dei suoi mutanti (no spoiler) viene considerato il responsabile. Buona la prestazione corale di tutti gli attori X-Men, cui i personaggi non consentono particolari solismi, ma menzione speciale a un Michael Fassbender bello e tormentato nei panni di Magneto giovane, che alfine si calca l’elmo in testa in un plot dove tutti, chi per una ragione chi per l’altra, dal principio sono amleticamente indecisi se e come agire, compresa la Fenice deragliata. Cosicché la sceneggiatura fumettistico-freudiana si gonfia di suggestioni shakespeariane: ma nelle nuvolette si sa, come neiblockbuster, è lecito scrivere e mescolare di tutto. Nota a margine. Questo è l’ultimo film della serie a cui ha partecipato, almeno nominalmente, Stan Lee il Sorridente, da tempo malato e scomparso nel 2018, che però non vi compare nell’abitualecameo: il prodigioso creatore dell’Universo Marvel inventò la colonia dei mutanti con la X nel 1963, con i disegni di Jack Kirby, lanciando una delle saghe più amate daitrue believers– così chiamava i suoi lettori.