IL SENSO DELLA VITA PER TIZIANO TERZANI

IL SENSO DELLA VITA PER TIZIANO TERZANI

Sono le ultime ore prima dell’operazione. Lo sapevo da settimane, da mesi, che questa primavera avrei dovuto farla. Sapevo che sarebbe stato quello, il giorno. Il venerdì santo, mi sono accorto dopo. Il giorno in cui Cristo muore. Però, pensavo, sarà primavera. Magari sarà bello, dopo, vedere. Magari sarà bello, dopo, tornare alla vita. C’era tanto tempo. Poi i giorni hanno cominciato a correre, sempre più veloci. Verso quel venerdì, che sembrava lontano, quasi irreale. Pensavo di avere tanto tempo per prepararmi. Per capire che cosa dire all’oculista: la prego, mi lasci la miopia, che per me significa poter vedere da vicino, poter leggere, poter scrivere su questo piccolo computer che mi accompagna in giro. Questo piccolo taccuino elettronico, questa tavoletta d’argilla così moderna. E così antica. Che anche nell’antico Egitto c’era qualcuno che scriveva, anche nell’antica Grecia c’erano uomini che pensavano, e ricordavano, e scrivevano. Come me. E che cancellavano, magari con una spatola, come faccio io col tasto backward. Ma soprattutto io leggo. Io leggo ogni notte, perché ogni notte non ho pace, perché ogni notte il suono sottile del fallimento, della paura, della sconfitta mi prendono la mente, e non ho altra salvezza che leggere. Il mio letto è una biblioteca, nel mio letto abita Jorge Luis Borges, il cielo che racconta di labirinti e di specchi, di giardini con i sentieri che si biforcano, di acuminate ossessioni. Nel mio letto abita sir Arthur Conan Doyle, e il suo dottor Watson appena tornato dall’Afghanistan per dividere un appartamento con Sherlock Holmes, strano tipo quello, traffica con alambicchi e provette, suona il violino, sembra mezzo matto. Nel mio letto in questi giorni c’è anche Giampiero Mughini che racconta gli anni ’70, il terrorismo, i comizi di Lotta continua, quel mondo che io ho sfiorato anagraficamente, ma mai vissuto; il terrorismo, gli editoriali sui giornali che valevano come grida lanciate a tutta l’umanità, il giornalismo e la guerra civile, tutte cose che non ho vissuto e non vivrò. Adriano Sofri condannato a ventidue anni, Adriano Sofri che andai a trovare nella sua casa di Tavarnuzze senza aver capito poi molto della sua storia, avevo trent’anni, e ancora sapevo poco di tutto. Come del resto so poco ancora. In questo letto c’è Tiziano Terzani, che dorme un sonno pesante nella metà accanto, e poi si risveglia e da quel libro con la copertina bruna racconta la sua Cina, il suo Vietnam, la sua Firenze, quella in cui è nato, in casa, era il 1938, povertà rigida, antica, catini d’acqua calda e la città, pure lontana solo due chilometri, che sembrava lontana dieci infiniti. E uno come lui, sembrava non potesse davvero diventare niente altro che un operaio. C’è Tiziano Terzani che racconta a suo figlio la sua vita, adesso che è seduto, senza fiato, minato dal cancro, con una gran barba bianca, un filo di voce e lo sguardo perso sulla valle dell’Orsigna. Eppure, con la morte che arriva, Tiziano Terzani sa essere felice, sa essere curioso di quest’ultimo viaggio, dell’ultimo biglietto che ci viene regalato in questa vita. E racconta la sua vita con semplicità, ma anche con la gioia di chi ti fa vedere i suoi giocattoli: la Storia toccata con mano, e angoli di mondo che quelli come noi in tutta la vita se lo sognano, di conoscerli. E il senso della vita, inseguito dappertutto, in un tempio buddista sbucato all’improvviso lungo una strada secondaria in Cina, nelle frasi degli indovini, nei volti di persone semplici. Il senso della vita. Respirare, vivere, amare, soffrire come cani, gioire come bambini, piangere come cretini, essere lì lì per morire un giorno, come lui sotto il tiro di giovani rivoluzionari cambogiani, e poi scampare a quel pericolo, a quel minuto che invece di essere un minuto come un altro poteva essere l’ultimo. E andare avanti un altro po’, per poi inciampare comunque nell’irreparabile. Il senso della vita, cercato nell’allontanarsi dal lavoro, dallo stress infinito, dalle seimila battute da mandare ad ogni costo al giornale. Il senso della vita, un po’ di frutta e verdura bòna da mangiare, forse per la penultima o per l’ultima volta, ed apprezzarlo. Il senso della vita: cercare di non essere infelici, mai.