L’IMPORTANZA DELLE CAREZZE
La carezza è una dimostrazione d’affetto compiuta con atti, a volte con parole o con silenzi, che forse “dicono” di più. E’ un gesto della mano, involontario, dettato dal cuore, un gesto che sfiora le membra della persona cui si vuole dimostrare amore, affetto, consolazione. La parola deriva da ka’rets: a/La carézza dal latino Carus, diletto, amato, mediante un astratto Caritia simile al greco Charis grazia, intorno al 1315, di antica radice indoeuropea. L’atto di passare le dita o meglio il palmo della mano sul viso o una piccola parte del corpo dell’altro. La derivazione “caro” è colui o colei che suscita sentimenti teneri. Seguendo uno studio etologico si parte dall’osservazione dei nostri progenitori: i Primates, escludendo, al momento l’Homo Sapiens. Dai lontani primati, si è data importanza allo studio delle mani, chiamato grooming o toelettatura: la pulizia reciproca tra esseri nella liberazione dai parassiti, l’atto di lisciare il pelo, etc. L’importanza delle mani nell’attività di caccia, prendere la preda con le mani, le mani come strumento di vita e di morte. Sono stati i nostri progenitori a trasmetterci l’uso delle mani nude, la sensibilità al tatto. L’uso delle mani e le carezze dei primati, erano un atto legato solo alla sfera sessuale, il toccarsi invece, aiutava ad aumentare l’unione del gruppo di appartenza e dominanza. “ Carezze, non comandi, Amor fan dolce” così diceva il grande filosofo Lucio Anneo Seneca (Cordoba, 4 a.C. – Roma, 65 d.C.). La voce di uomo prima che di filosofo; un uomo allontanato dai suoi affetti più cari perché condannato all’esilio da Claudio nel 41, succeduto a Caligola. Un filosofo che nel ‘65 fu costretto da Nerone a porre fine ai suoi giorni perché scomodo, il filosofo che aveva interesse per l’umanità quindi pericoloso. La testimonianza quindi, di un uomo che ha sofferto, lontano dalla sua famiglia, privato delle “ carezze”. Seneca, il grande filosofo, durante il suo esilio, dedicò i suoi studi all’essere umano, ai tormenti dell’uomo che viveva lui stesso, ogni giorno; la mancanza del conforto, di un gesto di consolazione, di una carezza. Non le carezze che ingannano e che trascurano la salute dell’animo, ma quelle che aspirano alla felicità, dove è difficile sapere dove risieda. La felicità per quanto sembri irraggiungibile, è invece alla portata di tutti, basta un gesto che parte dal cuore. Ognuno di noi quando riceve o dona una carezza, sente nel corpo una tiepida vibrazione. Si chiudono gli occhi per pensare il ricordo di questo gesto. Si è trasportati in qualcosa di cui non si hanno parole per descrivere l’emozione. La carezza di un amore, di un amico, un gesto di consolazione in un momento triste, le carezze date e ricevute da un bambino, il gesto più bello della nostra vita e che lasciano un segno indelebile nella vita futura. La sensazione che avvolge nella sua immanenza debordante e inesauribile, come trascendenza della sensibilità di ogni essere umano, il donare senza impadronirsi di niente. La persona regala una carezza come dono d’amore, senza condizioni, forse soffrendo per l’incapacità di dichiarare il suo amore all’altro: un amore filtrato attraverso la pelle. La pelle rivela il confine del corpo, una delimitazione spaziale di un’esistenza differente. Un luogo di scambio per eccellenza, dall’esterno all’interno di noi, una carezza per andare oltre, l’iscrizione dei sensi. Non vi è nulla da svelare se non una “propedeutica ricerca della verità” avvalendosi della cognizione naturale. Le carezze ricoprono un ruolo importante nella società, sia umana sia animale. Gli animali solitamente vivono in gruppo, si possono ben notare atteggiamenti di contatto, ad esempio nei mammiferi, leccandosi e strofinandosi, negli uccelli lisciandosi le piume e beccandosi, ancor più rafforzati durante l’attività sessuale. Anche la dimostrazione d’affetto del nostro cane che ha sviluppato lo stesso istinto del suo padrone, leccandoci dona carezze, attuando un grooming extra-specifico. Non è da sottovalutare il grande potere di una carezza, è molto più importante di quello che crediamo, ha molti più significati di quelli che diamo.La carezza: un’esistenza senza ragioni né garanti, custode necessario alla nostra vita come contatto con l’altro corpo. In psicologia, la carezza, non è solo contatto ma una metempsicosi verso l’altro, perché non è un semplice sfiorare, ma, è plasmare l’essere altro, davanti a noi.E’ definita come “l’insieme che incarna l’altro, far nascere la sua carne sotto le mie dita”. La carezza come il desiderio non si distingue, desiderare o carezzare con gli occhi è la stessa cosa. Il desiderio è la carezza come il pensiero con il linguaggio. Purtroppo viviamo in epoca, dove tutto è impallidito, l’amore non ha i colori della gioia, rapporti fugaci, sbrigativi, leggeri nella maggior parte delle coppie. Matrimoni che falliscono in brevissimo tempo, separazioni e divorzi sempre più in aumento, come conferma l’A.M.I. ( Avvocati Matrimonialisti Italiani). Da una ricerca inglese emerge che sono sempre più numerose le coppie che d’abitudine non si scambiano più baci o tenerezze. Il 25% degli intervistati ha dichiarato di sopportare malvolentieri la vicinanza fisica durante la notte, eppure sfiorarsi e dare spazio al contatto di pelle rafforza il legame di coppia, con effetti positivi sulla complicità e il desiderio. Le coppie che si salutano con un bacio prima di andare al lavoro mostrano livelli più alti di autostima, capacità di reagire allo stress, fiducia in se stessi: a spiegarlo è un team di ricerca tedesca. Con l’era della tecnologia si è sempre più isolati dal contatto alla realtà, si sente un’infinita fame d’amore, ma è solo amore di due corpi senz’anima. Poche cose danno una calma emotiva e mentale come il semplice atto accarezzare. C’è di più, nell’ambito della psicologia umanistica e dell’analisi transazionale si dice che tutti hanno bisogno di essere toccati dalle persone care per sentirsi “riconosciuti”. E’ così impellente la fame di carezze che per sentirsi dire: ” Ti amo, sei bella!” una ragazza rimane inerme di fronte al primo approfittatore. Per ottenere dunque un consenso esterno si evita di discriminare, di valutare attentamente quali siano le motivazioni del proprio agire, ci si lascia ricattare e plagiare.Niente dà più soddisfazione di una carezza inaspettata, il contatto di qualcuno che, nonostante sia attraversato da mille cicatrici, è capace di offrire le carezze più dolci.La “dieta” di carezze inizia da piccoli, quando i genitori non coccolano troppo i figli per non viziarli. Poi gli insegnanti distribuiscono lodi con il contagocce per spronare gli alunni a fare di più. Prosegue tra amici e sul lavoro, quando i riconoscimenti sono concessi secondo dinamiche di do ut des, in altre parole: “Mi complimento perché spero che tu faccia altrettanto con me”.Insomma, siamo indotti a essere avari di noi stessi: siamo abituati a credere che le carezze elargite gratis creino obblighi e attese; che quelle ottenute su richiesta non siano spontanee; che non convenga darle a noi stessi, perché “chi si loda s’imbroda”. Tutte falsità. Il bello delle carezze è che sono illimitate. E imparare a essere più generosi sarebbe un bene per tutti. La carezza esiste, ha senso solo se c’è anima e sentimento, altrimenti è solo un banale sfregamento di pelle. Quanti sono al mondo coloro che sono scartati dalla società e che hanno bisogno delle nostre carezze; il pensiero va agli anziani soli, a quelli chiusi negli ospizi, agli ammalati, costretti a stare negli ospedali, ma anche ai quei bambini che sognano la carezza di una madre che non hanno conosciuto o di un padre che usi più carezze e meno abusi. La carezza solo così sarà espressione d’amore vero. Sentirsi accarezzati significa essere riconosciuti, accolti e rassicurati, siano esse carezze materne, paterne, di amore o di approvazione. Con le carezze noi entriamo in comunicazione, esprimiamo il nostro consenso, l’amicizia, l’amore, quei sentimenti che rendono la nostra vita più ricca. Alla stessa maniera, o quasi, delle carezze mentali: fisiche come la mano sulla spalla o l’abbraccio, mimiche come la dolcezza dello sguardo, persino sonore come il tono della voce. Può sembrare una domanda banale ma non lo è. Il contrario della carezza è lo schiaffo, non a caso si colloca con esattezza con il rovescio del palmo della mano. Il cosiddetto manrovescio è un gesto di rifiuto, di offesa, di allontanamento, di repulsa. La sberla invece si dà con il palmo della mano. Le persone sensibili, in particolare i bambini, sentono con lo schiaffo dorsale la repulsione dell’adulto su di lui; psicologicamente la sberla è ricordata quasi più come un gesto di correzione positiva, sempre nei limiti della correzione educativa. Le carezze costituiscono la vita, la edificano, la riaffermano, un gesto essenziale che racchiude il mondo delle emozioni. Possono esserci differenze tra le persone, ceti o razze ma, la necessità di affetto, di comprensione è universale, non solo tra gli esseri umani, ma anche tra gli animali. Le carezze una volta date non chiedono nulla in cambio, sono quelle che sono, sarà poi l’altra persona a saperle giudicare e apprezzare. Dicono molto di noi, un gesto di comunicazione non verbale importantissimo. Offriamole con il cuore, con calma, con dolcezza, perché in quel gesto meraviglioso trasmettiamo messaggi che non hanno bisogno di parole. Conoscere la nostra emozione ci dà l’opportunità di sapere perché ci comportiamo in un modo o nell’altro. Ognuno filtra le situazioni in base a quello che prova: ecco perché ogni persona agisce diversamente. Le nostre esperienze ci portano a vedere il mondo in modo speciale e unico. Ogni situazione genera in noi un’emozione diversa ed è per questo che conoscere noi stessi ci porta a capire come e perché agiamo in una certa maniera. Quando reprimiamo un’emozione come la rabbia o la paura, quando ci sforziamo di non essere tristi, quando la vendetta prende forza o il dolore parla per noi, cediamo il passo a un funzionamento indipendente di emozioni non gestite; queste emozioni si esprimeranno attraverso le nostre azioni. Uno studio sulle emozioni, condotto dall’Università di Stanford, ha rivelato che le persone che tendono a reprimere i sentimenti reagiscono con un’attivazione fisiologica molto più forte in situazioni critiche rispetto a chi, ad esempio, esterna la sua ansia o rabbia. Per questo motivo, in genere, chi non esprime le proprie emozioni o lo fa con difficoltà, corre un rischio maggiore di sviluppare problemi somatici quali: tensioni muscolari, mal di testa, reazioni cutanee o malattie più complesse. Insomma, le emozioni trovano una via di fuga attraverso metodi meno funzionali per noi.A volte di fronte ad alcune situazioni ci capita di reagire in un modo che ci sorprende. Ciò avviene a causa della memoria delle nostre esperienze, che integriamo a volte in modo consapevole e altre inconsapevole. La memoria del corpo e della mente: reprimere la nostra emozione senza filtrarla, le permettiamo di insinuarsi nella nostra memoria senza rendercene conto, ad agire in modo autonomo. Il nostro compito, quindi, è capire cosa succede e cosa proviamo in ogni momento. Se non sapremo identificare le emozioni, allora non saremo in grado di gestirle. Il primo passo sarà pertanto quello di prendercene cura, dare esse voce quando chiedono di parlare. Per estensione psicologica è anche un sorriso, una stretta di mano, un saluto, un applauso, un segno di attenzione da parte degli altri Carezza è poco più di una parola se, consideriamo questo semplice gesto come un’abituale manifestazione affettiva. In realtà i suoi significati sconfinano oltre gli aspetti ordinari per assumere inattesi significati in campo sociale e psicologico. Persino filosofico se consideriamo l’influenza della percezione tattile nelle impressioni interpersonali e nello sviluppo del pensiero. La carezza non è un gesto straordinario ma un atto che nella sua ordinarietà può insegnarci, più di quanto s’immagina, il senso dei valori nascosti nei piccoli e grandi piaceri fino agli estremi dolori. Essa viaggia in maniera inconsapevole in un lungo cammino che ha buone argomentazioni in quasi tutti i campi del pensiero. Le carezze diventano quasi una metafora laddove essa va di là dall’intenzione di toccare, per suscitare nobili pensieri, nuove parole, inaspettati sentimenti non solo in ambito personale, ma anche in campo sociale. E’ tra queste situazioni che abbiamo cercato le “otto tipologie” che abbiamo voluto premettere. Potrebbero essere abbastanza “buone”come un’unità di riconoscimento. Che cosa significa? Ogni volta che abbiamo un contatto visivo con qualcuno, gli stiamo dando un riconoscimento, una carezza psicologica con cui “vediamo” quella persona e le diamo importanza. Lo stesso accade quando sorridiamo a qualcuno, lo salutiamo o lo guardiamo in malo modo. Elargite sotto forma di grandi o piccoli messaggi, in sensazioni che hanno luogo sotto il livello della coscienza, troppo deboli perché siano avvertite ma sufficienti, a influenzare l’inconscio e condizionare il comportamento.Sin da bambini impariamo che le carezze ci aiutano a non sentirci soli. Piuttosto che nessuna carezza, in altre parole l’indifferenza, si preferisce ricevere critiche per dimostrarci comunque che esistiamo per l’altro. Avete mai fatto caso a un bambino capriccioso e oppositivo? La prima risposta da parte dei familiari è un bambino viziato. Attraverso comportamenti aggressivi, i bambini escogitano un modo per essere considerati, “visti”. Attirare l’attenzione, “ se non mi vedi per donarmi affetto e ascolto, almeno mi vedrai sgridandomi”. In poche parole è più facile tollerare le critiche e le punizioni, piuttosto che essere ignorati. Dare e ricevere carezze aumenta il nostro benessere sia psicologico sia fisico. Facciamo di tutto per guadagnarcele, lavorando duramente, aiutando gli altri, facendo finta di non essere capaci per ottenere attenzione. Tuttavia, nonostante le carezze siano facili da donare e da prendere, non ce ne sono mai abbastanza, troppe volte celate da emoticon e non dal contatto. La felicità di una carezza è il lifting dell’anima capace di illuminare lo sguardo e il viso, ecco perché quando ci sentiamo profondamente bene, sembriamo diversi, più vitali e giovani: lo siamo! Perché ci ricordano quando eravamo bambini e la mamma ci accarezzava e perché, pensate un po’, le carezze favoriscono addirittura la produzione di endorfine, vale a dire gli ormoni della felicità. Una carezza? Non è solo un tocco fisico delle mani. È qualsiasi gesto o parola che comporta il riconoscimento dell’esistenza dell’altro e che ha una valenza affettiva, anche minima. Come un saluto, un complimento, un dono. La vita inizia con una carezza e con una carezza si finisce, l’unico gesto capace di raggiungere, là dove si trova, chi sta per lasciarci. Si dice che la stretta di mano serva a garantire che si è disarmati o, meglio che deposta l’ostilità con cui l’uomo affronta sempre l’altro suo simile. Forse c’è di più: la stretta di mano, così come il bacio, significano un patto di alleanza, oltre che di non belligeranza, una promessa di concordia che nulla, come il contatto di pelle, può attestare. Di contro la condanna all’intoccabilità, si pensi all’ultima, alla più spregiata delle caste indiane, quella dell’intoccabile appunto, rappresenta il più violento, radicale misconoscimento dell’altro. Così come l’ingiuria rivolta al colore della pelle nega la comune appartenenza all’umanità e scava un solco invalicabile tra gli individui. Nonostante la nostra cultura sia basata sui valori della relazione, i rapporti umani sono sempre ardui. In un modo o nell’altro si pone il dilemma della distanza da assumere nei confronti del prossimo. Sappiamo che ogni cultura prevede misure diverse dello spazio da interporre tra corpo e corpo e l’impatto più forte con il mondo asiatico è proprio, per il viaggiatore, la minacciosa impressione di una vicinanza eccessiva. Molti di voi conosceranno in proposito l’apologo di Schopenhauer secondo cui i porcospini, se restano lontani muoiono di freddo ma se stanno vicini si pungono. Il compito di ogni relazione è appunto quello di trovare la giusta distanza e sappiamo che risulta in tal senso determinante aver sperimentato un buon rapporto con la madre, un’inaugurale, positiva accoglienza nel mondo. La prima carezza diviene in tal senso il simbolo di una prossimità accogliente ma non prevaricante, di una relazione rispettosa dell’alterità dell’altro.Se consideriamo la capacità del tatto di orientare i nostri comportamenti cognitivi e affettivi possiamo dire che noi non abbiamo, ma siamo il nostro tatto, la memoria dei contatti che abbiamo sperimentato nel corso della vita e che ci hanno profondamente plasmato. Una vita che, iniziata con una carezza, con una carezza si conclude. Spesso, quando nella cerimonia degli addii mancano le parole per dire le emozioni e l’altro sta allontanandosi in silenzio, la solitudine del morente è interrotta da un’ultima, delicata, interminabile carezza. L’unica capace di raggiungerlo là dove si trova, apparentemente vicino ma infinitamente lontano. Il ciclo dell’esistenza si chiude così con il medesimo gesto, di benvenuta prima e di congedo poi, un contatto che attesta la capacità dell’umano di comunicare col corpo, di là dal corpo. Accarezzare l’altro, mille volte al giorno, col pensiero e talvolta con dita leggere – l’unica certezza che rimane. La carezza è l’alleggerimento del gesto, la sua trasparenza, il contatto con l’altro che non vuole possederlo né dominarlo né respingerlo né trattenerlo né blandirlo né penetrarlo. La carezza è il gesto soave dello sfiorare, consolazione e pietas, piena identificazione all’altro, ambasciata fisica d’affetto. La carezza è eloquente in sé, non deve aggiungere altro, e non è nemmeno travisabile. È un gesto perfetto, in bilico tra il battere e il levare, senza essere né l’uno né l’altro. Anche il bacio è una carezza, ma è già più definito, grave, ammiccante – allude ad altro. Un bacio può essere stampato, una carezza no. Nella sua apparente fuggevolezza è uno scorrere rispettoso e delicato sul corpo dell’altro, un delimitarne la forma, ma con un afflato contemplativo, lenitivo, per nulla invasivo. La carezza sul volto: è accedere soavemente alla fragile esposizione dell’altro, alla sua nudità. È dirgli: io sono qui per te. Gli occhi, la nuca, la fronte, le guance, il naso, il mento – ogni luogo del volto richiama una forma propria di carezza. Un adagiarsi del gesto alla mutevolezza espressiva. Un colloquio muto di gestualità emotiva. La carezza è carezza della fragilità ma anche il tentativo di raccoglierla in una sfera affettiva sicura come un porto, la mia mano contiene la tua fragilità, lo accoglie, la culla, la sostiene, ma non esige altrettanto dalla tua mano. Perché la carezza è un gesto gratuito, un dono che esula dalle logiche di scambio, un’effusione libera e unilaterale, parla il linguaggio della poesia e, la poesia si sa, è una carezza sul mondo, senza evocarlo a sé. Aldilà dei modelli non c’è un individuo da “accarezzare” come migliore né ci si deve “accarezzare” come migliori, ci sono invece persone di valore che in mezzo a tanta mediocrità egoistica cercano, lavorano e costruiscono liberamente con capacità e umiltà. La gratificazione è fine a se stessa, nasce dal cuore, libera dal desiderio di premi in questo o nell’altro mondo. La carezza è una bella opera che ha bisogno di uno spirito altrettanto bello, che sappia recepirla, per vivere realmente. Pablo Neruda scriveva: <
