PURIFICARE LA MEMORIA

PURIFICARE LA MEMORIA

La violenza che si scatenò nel Paese delle Mille colline all’indomani del 6 aprile 1994 — giorno in cui avvenne l’abbattimento dell’aereo su cui viaggiavano il presidente ruandese Juvénal Habyarimana e il suo omologo burundese Cyprien Ntaryamira — rappresenta un’infamia per l’Africa subsahariana e deturpò vistosamente il volto della cristianità. In Rwanda, allora, il 65 per cento della popolazione era composto di cattolici, mentre un altro 15 per cento apparteneva al protestantesimo. Pertanto, a venticinque anni da quell’orribile mattanza che sprigionò ciò che di più spregevole e aberrante la natura umana è in grado di scatenare, è evidente che occorre purificare la memoria, incoraggiando il processo di riconciliazione nazionale. Molte uccisioni furono perpetrate in edifici sacri, morirono vescovi, sacerdoti, religiosi e laici impegnati, per non parlare dello scandalo di chi partecipò ai massacri, sterminando intere famiglie, passando dalla parte di Caino. Non pochi cattolici furono direttamente artefici delle uccisioni e ciò non ha certamente giovato all’edificazione delle giovani generazioni. A distanza di 25 anni, ai cattolici spetta certamente il compito di dare buon esempio. Soprattutto, vi è il bisogno di onorare i defunti, le centinaia di migliaia di vittime di un olocausto che non potrà mai essere dimenticato. È il caso di Félicitas Niyitegeka, una laica consacrata che testimoniò coerentemente la propria fede nella risurrezione. Sessantasettenne, abitante a Gisenyi, appartenente all’etnia maggioritaria hutu, aveva deciso assieme alle sue consorelle, poco dopo lo scoppio della guerra civile, di ospitare nella loro casa un gruppo di rifugiati tutsi, minacciati di morte dai miliziani di Habyarimana. Sapendola in pericolo, il fratello di Félicitas, colonnello delle forze regolari ruandesi, l’avvertì di lasciare subito la casa per sfuggire a una morte sicura. Ringraziandolo della sua premura, la consacrata scrisse queste toccanti parole: «Caro fratello, ti ringrazio per avermi voluto salvare, ma piuttosto di vivere lasciando morire quarantatré figli (le persone accolte nella sua casa, ndr), ho scelto di morire con loro; prega per noi, perché possiamo arrivare presso Dio. Rivolgi il mio arrivederci alla vecchia mamma e ai fratelli; pregherò per te quando sarò arrivata. Coraggio, grazie per aver pensato a me». Nei giorni seguenti, Félicitas continuò a dedicarsi per mettere in salvo la vita di decine di persone, facendole passare attraverso la frontiera. Il 21 aprile i miliziani arrivarono alla casa della comunità e costrinsero lei e le consorelle, insieme al gruppo di ospiti tutsi, a salire sul camion che le avrebbe condotte al cimitero, luogo di esecuzione. Durante il tragitto fu Félicitas ad infondere coraggio a tutti. Una volta a destinazione, i miliziani, temendo la reazione del fratello, tentarono invano di costringere Félicitas ad allontanarsi. Ma lei rispose: «Non ho più ragione di vivere» e fu uccisa con gli altri.