QUI SI PLASTIFICA

Cari amici, stamattina, mentre facevo la circumnavigazione svicolata e svalvolata del caos sul quale si regge Roma, cercando di sbrigare alcune ottemperanze cittadine, burocratiche, personali e direi anche mistiche nel tentativo di non erompere in giaculatorie inappropriate, ho fatto un incontro speciale. Era, ed è, una bellissima giornata di sole e cieli azzurri, e, svicolando tra i cassonetti dell’apocalittica Circonvallazione Trionfale, tra le auto sul marciapiede, i capannelli dei dialoganti del più e del meno, piantati nell’unico scorcio di strada dove si può passare, i gabbiani che hanno preso possesso del quartiere, le buche riparate su cui inciampi perché adesso invece del buco c’è il montarozzo (farle pari al terreno è troppo banale), i crateri aperti, i cantierini col nastro giallo, e le promesse di un tempo migliore, ecco che leggo su una vetrina minuscola, bordata di un alluminio sovieticamente dorato, e discretamente polverosa e buia, il cartello “si plastifica”. Proprio così: “si plastifica”. È il negozio del plastificatore . Un posto che anche se lo cerchi col lanternino non lo trovi. Che neanche Pico de Paperis se lo sarebbe inventato. E che non esiste nemmeno sulla Treccani, credo. E io, che dovevo plastificare invano da giorni un certo documento, ebbene me lo trovo davanti. Dopo un attimo di incertezza, sogno o son desto, decido e apro la porta. Entro nell’antro oscuro e, ipso facto, precipito in un’altra epoca. Fate conto di essere catapultati nella tipografia della “Banda degli Onesti” (mi auguro, per il loro bene, che tutti i lettori di questo post abbiano visto questo capolavoro assoluto del cinema italiano. Chi non l’ha fatto è invitato a provvedere) . Nella bottega non c’è Totò, né Peppino e nemmeno Giacomo Furia, ma da un momento all’altro mi aspetto di vedermeli comparire davanti, in bianco e nero. (“Siamo d’accordo?”, “Siiì!”, “Ah, Siete d’accordo”. Solo chi sa il film a memoria può capire queste battute). Nel piccolo locale troneggia una mastodontica macchina stampante marca “Heidelberg”, seconda per anzianità solo a quella inventata da Gutenberg, credo. Il pavimento è di quella graniglia scura tutta consumata che una volta si trovava ovunque, le pareti sono verdoline, un po’ affumicate forse dalla polvere d’inchiostro, chissà. E poi pile e pile di fogli di carta. E a un tratto da un anfratto fa capolino un giovane che, dall’espressione e dai capelli a forma di cuscino, fino a un attimo prima stava dormendo. “Dovrei plastificare”, dico, per chiarire la mia posizione. E lui : ” Va bene, ma patti chiari, sono due euro”. Dice due euro come se avesse detto un fantastiliardo. “Noi stampiamo anche fino a cinquemila ricevute per volta”, completa con orgoglio. Io penso che a confronto delle cinquemila ricevute io sono un microbo, ho da fare solo una microscopica plastificazione di un permesso di sosta. Lui ripete: “Due euro”. A me pare molto onesto, ma inizio comunque una trattativa. Mi sembra che lui se l’aspetti. Uno scambio di cerimoniale, quasi. Due ambasciatori di paesi stranieri che trattano un accordo internazionale. Gli dico che ho trovato molti plastificatori ( non è vero ma se vuoi tirare sul prezzo devi essere creativo) che plastificano eccellentemente a uno e mezzo. Al che lui è punto sul vivo. “Qui siamo plastificatori seri, da generazioni, e si plastifica a due euro”. E va bene, dico io, vada per due euro. Chiusa la trattativa, bisogna mettere in moto la macchina per plastificare, che sarà pronta tra sei o sette minuti. E mentre la macchina si riscalda, nei sei o sette minuti noi parliamo di tutto, di Erich Fromm, di Michael Jackson, delle religioni nel mondo, di Osho, di Seneca, dei suoi studi di antropologia, della bella giornata e, soprattutto, della banda degli onesti. Quella vera, reale. La banda di falsari che, quando lui era piccolo ma già faceva il garzone di bottega, fine anni ’70, si riuniva proprio lì, in quella tipografia, al seguito dell’avvocato Tal dei Tali, e del tipografo Tizio ( emulo del LoTurco di Peppino De Filippo), e, con la gloriosa macchina lì presente, stampavano banconote false . “Quante?”. “Tante. E’ uscito pure sul giornale”. Il film è diventato realtà. “E dove sono oggi?” chiedo io. “In galera”. Ecco. E’ lì che la vita è diversa dal film. Intanto il lavoro è finito, il mio documento plastificato (davvero bene). “Be’, adesso che siamo diventati amici, glielo metto uno e mezzo”, dice il giovane coi capelli a cuscino e i pensieri all’antropologia. Ma io non posso accettare. “E’ un lavoro troppo accurato. Merita i due euro pattuti”. Lui è soddisfatto, io pure ed è arrivato il momento di salutarci. “Adesso che siamo diventati amici, ci rivediamo”, dice lui. “E certo”, dico io. Adesso che siamo diventati amici.(PS: Non so se ricapiterò lì, è un po’ fuori mano, forse sì, forse no, ma la città è piena di storie, di gente che ha voglia di parlare, di attimi di vita da prendere al volo e non dimenticare mai)