RESORT NELLE FILIPPINE PRESO DI MIRA: “BASTA INFLUENCER, ANDATE A LAVORARE!”

RESORT NELLE FILIPPINE PRESO DI MIRA: “BASTA INFLUENCER, ANDATE A LAVORARE!”

E scatta la ola. Ammettiamolo: quante volte lo abbiamo pensato? Quante volte abbiamo aspettato che qualcuno avesse il coraggio di esporsi pubblicamente e postare un commento del genere, suscitando le inevitabili diecimila reazioni e duemila condivisioni? Si chiama Gianluca Casaccia il coraggioso autore che ha avuto l’ardire di presentarsi al patibolo, proprietario, insieme con la moglie filippina Gayle Villaluz, del White Banana Beach Club, un resort di livello aperto da circa un anno a Siargao, una delle località più ambite dell’arcipelago filippino. Un successo immediato, sia per la posizione indubbiamente strategica, sia anche per le indiscutibili capacità imprenditoriali dei fondatori, che, dall’ampia disponibilità di cocktail, al ristorante italo-filippino specializzato in piatti vegetariani, vegani, pescivoriani, sembrano aver azzeccato la formula ideale per la frangia più fighetta del turismo a cui si rivolgono.Cosa potrebbe, dunque, aver turbato l’animo dell’imprenditore quarantenne che tra donna, location e lavoro sembra aver trovato la formula della felicità? Le telefonate degli influencer. O presunti tali. Le mail degli influencer, o presunti tali. E poi i messaggi degli influencer, o presunti tali. In altre parole, una vera e propria azione di stalkeraggio, messa in pratica da più parti con l’obiettivo, si deduce, di rimediare una settimana a scrocco in quel paradiso terrestre, in cambio di qualche post che verrà sicuramente letto e commentato dai quattro follower ostentati con orgoglio da questi “tal de tali”.Il post ha scatenato l’ira funesta dei bimbiminkia di tutto il mondo, oltre che lo sdegno degli influencer – quelli veri – di fronte ai quali l’imprenditore italiano si è sentito in dovere di correggere il tiro:“Non siamo contro gli influencer, siamo contro gli scrocconi. Punto.” E prosegue: “Un vero influencer lo decidono gli altri, non si autoproclama tale. Magari si tratta di blogger. Con alcuni abbiamo collaborato, in forme e condizioni diverse, e li supportiamo. Poi ci sono i veri influencer, e nel caso saremo noi a contattarli, pagarli o offrire qualcosa. Ma, attenzione, non ci hanno mai contattato, dal momento che loro non hanno bisogno di noi. Siamo semmai noi a poter avere bisogno di loro”.C’è da dire che nell’era della supremazia dell’apparenza e dei cinque minuti di successo concessi a chiunque; nella società in cui i voyeristi di tutto il mondo e di tutte le epoche sarebbero voluti vivere, la deriva dell’ “influencer-o-presunto-tale” era inevitabile: laddove un like conta più di qualsiasi specializzazione, laddove qualche commento o recensione positiva vale più di qualsiasi forma di talento, la materializzazione di questi strani esseri metà uomo e metà fancazzista era il fenomeno più prevedibile, laddove, soprattutto, c’è una forma di accreditamento anche da parte della Cultura. I fancazzisti in effetti sono vissuti un po’ in tutte le epoche, ma se in passato erano delle sorte di reietti per la loro totale incapacità di accumulare denaro, dovuta soprattutto a una forma di accidia insita nel loro animo, oggi basta che abbiano un seguito e vanno bene pure loro. Anzi, vanno ancora meglio, poiché la supremazia dell’uomo qualunque mantiene vivi i sogni di gloria anche all’ultimo degli incapaci – o indolenti che dir si voglia.Nonostante, tuttavia, queste catastrofiche dissertazioni, il giovane impresario – che nel frattempo ci è diventato anche simpatico – è uscito indenne dalla vicenda e, anzi, racconta che al di là delle inevitabili polemiche, ha ricevuto parecchio sostegno, soprattutto dagli abitanti della comunità locale di Siargao. E se il post è servito anche a mettere a tacere le decine di proposte giornaliere che riceveva dai sedicenti influencer, si può dire che qualche minuto in più per rispondere agli attacchi sia valso la pena.