SPERANZA, FEDE E CARITA’, LE ULTIME CHANCE PER LA FIDUCIOSA THERESA MAY

Dopo la disfatta di ieri un apparente successo della May oggi, alla Camera dei Comuni. Respinta la mozione di sfiducia presentata da Corbyn, a nome del partito laburista, con 19 voti di margine. Non fu vera gloria. Più che di un successo si è trattato di un rituale puramente simbolico. Corbyn doveva dimostrare di esserci e di avere con sé il proprio partito, ben sapendo che, di fronte a una sfiducia richiesta da sinistra, il fronte governativo non poteva che fare quadrato attorno a Theresa. Quindi la mozione non sarebbe passata, del tutto indipendentemente da quella che possa essere una condivisione degli orientamenti della May in materia di brexit. Tutto resta come prima con una probabile aggravante. La May avrebbe deciso di non andarsene e di farsi forte della fiducia per continuare a gestire i rapporti con la Ue. Incoscienza o percezione di qualche segnale di cedimento da parte di alleati di governo che le hanno votato no, nel nome di una brexit più intransigente? Dall’esterno le crepe non si vedono. In primo luogo i nordirlandesi paiono irremovibili nel ritenere un affronto il mantenimento provvisorio di una zona grigia ai confini della Repubblica d’Irlanda. Quanto meno ai tempi brevi per raggiungere un accordo accettabile anche da Bruxelles pare sia vietato pure pensarci. Ma se la May non può ricompattare il fronte interno che al prezzo di spaccare con la Ue, cosa è rimasta a fare sullo scranno del premier? Non avrebbe fatto meglio a passare il testimone a qualcun altro? A meno di sorprese clamorose sia l’obiettivo di far digerire all’Europa qualcosa di più di quanto già concordato, sia quello di formare una grande coalizione in grado di salvare capra e cavoli, sul piano interno come su quello internazionale, paiono difficilmente raggiungibili. Sarà quindi il no deal, coi suoi disastrosi effetti, che non soltanto i britannici dovranno pagare?. Mentre nel nome del realismo c’è già chi ha cominciato a stilare la lista degli immensi costi prossimi a venire, c’è ancora chi prova ad esercitare la virtù teologale della speranza. Non tanto per il destino della May che appare segnato, quanto per quello di un futuro che non veda divampare la lotta di tutti contro tutti. Si spera che l’Europa conceda tempo, più tempo, più tempo ancora. Si spera in un ravvedimento di nordirlandesi e conservatori hard. Si spera nella composizione di un nuovo fronte di volonterosi che potrebbero far piovere, sulla May o su chi la potesse sostituire nel breve periodo, il supporto di qualche sostenitore del remain orientato al meno peggio. Si spera anche in un improbabile referendum provvidenziale (escluso dalla premier) che, as soon as possible, ribalti a favore del remain il quadro della situazione. Barlumi di speranza di chi nutre una profonda fede nella ragionevolezza del genere umano, quanto meno in quello di matrice anglosassone. Ma più che alla speranza e alla fede c’è da credere che l’unica via di uscita possa essere la benevolenza di chi potrebbe fare alla premier la carità dei voti necessari.