ARMANDO IZZO DI SCAMPIA: DALLA VITA DURA ALL’ ESORDIO IN NAZIONALE
” Sbaglio ancora i congiuntivi” Lo dice con timidezza e rimpianto Armando Izzo. ” Ho due figlie, la prima ha otto anni e parla già inglese. Io faccio fatica con l’italiano, e lei mi parla in inglese. Uso il traduttore del cellulare per non fare brutta figura.” Nel linguaggio semplice di un uomo sta racchiusa tutta la sua vita. Quella che dalla polvere fa giungere fino alle stelle e trasforma una dura quotidianità in una favola bella. Armando Izzo era uno scugnizzo a Scampia. I pregiudizi ci portano sempre a vedere il lato oscuro di certi luoghi, etichettando i loro figli con il marchio infamante della criminalità. Suo padre era un venditore ambulante di stoffe. Girava la regione in lungo e in largo per mantenere la famiglia. A sera, al suo rientro, non disdegnava mai di giocare a calcio col figlioletto maggiore. Poi la malattia terribile e senza scampo, una leucemia fulminante che si nutri’ di un giovane uomo di ventinove anni. Finiva il tempo dei giochi, della serenità per Armando. Occorreva aiutare la famiglia rinunciando a ogni cosa avesse le caratteristiche del superfluo. Per ragioni economiche, quindi, abbandonò la scuola calcio. La madre che per mantenere la famiglia faceva pulizie a ore, non era in grado di assolvere al pagamento della retta della scuola. Certo, sognare di Maradona, di Del Piero, avere scolpite nella mente , ad ogni calcio, le gesta dei suoi eroi e non potere poi portare a compimento quel sogno, era stata dura per un adolescente. Ma era la vita. Se lo diceva ogni volta che latte e pane duro erano la sua cena. Doveva lavorare, lo aveva promesso a quel padre troppo giovane per morire e che pure era stato portato via prematuramente. Poi, finiscono i programmi degli uomini e iniziano i piani del destino. Imperscrutabili, insondabili spesso incredibili. Il primo tassello ha un nome: Antonino Piccolo, presidente della scuola calcio di Scampia. Telefonò alla mamma di Armando pregandola di fare tornare il figlio ad allenarsi perché il tutto sarebbe stato a spese della scuola. Dodici anni. Correre dietro a un pallone, nei dribbling sul campo la metafora del vivere fra curve e linee rette, fra palco e realtà, fra gioie e dolori. E fu in una di quelle corse, di quelle finte che il suo destino incontrò quello di Giuseppe Santoro, talent scout del Napoli. Era il responsabile del settore giovanile del Napoli oggi del Torino. Per tre anni Armando si alleno’ con grinta e passione. Ma la sua famiglia aveva un estremo bisogno di un apporto economico. Doveva per l’ennesima volta dire addio al suo sogno. Santoro, che aveva visto nel ragazzo grandi doti calcistiche, pur di non farlo andare via gli procurò qualche rimborso spese. Armando studia quando può, lavora, si allena. Poi l’estate del 2010. Un ritiro per i ragazzi della Primavera. Il destino ancora una volta prepara un giorno speciale . Incontra Walter Mazzarri. Sarà lui a occuparsi della Primavera. Sì, proprio lui, il mister dal carattere sanguigno, irruento, impulsivo. Quello della serie A della Reggina, quello che da un meno undici di penalità della squadra dello Stretto aveva portato la stessa ai vertici della classifica in A. Quello delle urla dentro lo spogliatoio. Quello della pacca sulle spalle a incitare o della stretta di mano vigorosa a motivare. Armando lo segue. Si allena con sacrificio e determinazione. Arranca nella corsa e l’allenatore scopre che le scarpe hanno tre numeri in più rispetto al suo numero di piede. Incarica un suo collaboratore di comprare le scarpe al ragazzo. Poi è storia di un calciatore, ma soprattutto un uomo. Mazzarri lo chiama al Torino. “Quando ho saputo che anche il mister mi voleva in granata, non ho avuto dubbi. Ho detto al mio procuratore che avrei firmato subito, se avessero avuto intenzioni serie. Se non fossi stato squalificato per un’omessa denuncia in una storia di calcioscommesse, sarei arrivato già in nazionale.”( cfr. Il Napolista) E giunge. Il momento tanto atteso arriva. Esordio in Nazionale, chiamato da Roberto Mancini due giorni fa nella partita contro il Liectenstein . Entra in sostituzione di Bonucci a difendere il risultato. Entra e, nonostante la partita fosse alle battute finali, offre impeto e anima perché in quella maglia è racchiuso un sogno, una favola, il riscatto di chi non ha mai ceduto alla disperazione e alla rassegnazione ma è ripartito sempre da se stesso calpestando allo stesso modo delusioni e l’erba di un campo di calcio.
