BREXIT: USCITA SENZA UN ACCORDO
Dopo i quattro tentativi falliti del Parlamento di Westminster per trovare una formula accettabile di uscita da questo impasse senza fine, la situazione si fa ancora più confusa se già non lo fosse abbastanza. Con il prefigurato No-Deal , che significa senza lo straccio di un accordo con la Unione Europea, dopo la bocciatura del progetto firmato da Theresa May a Bruxelles, lo spettro di un futuro disordinato è alle porte. Questo, in primis, al netto degli enormi danni già registrati dalla sterlina inglese e dall’economia britannica nel suo complesso per la fuga di tante Direzioni generali di multinazionali della finanza e non solo, unitamente ad una perdita generalizzata di posti di lavoro e investimenti, costringerà gli operatori economici inglesi a rivedere in negativo il rispettivo core business. Già si pensa a nuovi vincoli doganali alle frontiere per il commercio transfrontaliero, oltre a difficoltà di ogni genere sotto il profilo burocratico, finanche nello scambio di informazioni in materia di intelligence per contrastare il terrorismo internazionale. Il Regno unito verrebbe trattato come un Paese terzo fuori dall’Organizzazione Mondiale per il commercio con tutte le implicazioni in termini di tempi e costi anche per la stessa Unione Europea. L’esperienza del popolo di sua Maestà dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che uscire da una comunità, quale che sia, è peggio che entrarci o rimanerci secondo il detto che “L’unione fa la forza”. In pratica, se si può’ dire, quando si tratta di decidere questioni complesse come nel caso di cui qui ci si occupa, a parte i problemi già noti, ovvero decidere se uscire o rimanere nella Unione Europea, non lo si può decidere attraverso un “SI o un NO” della cosiddetta democrazia diretta come ahimè è stato fatto nel 2016, ma lo si deve fare attraverso un’analisi dei costi e benefici da parte di persone che abbiano una certa competenza, opportunamente eletta dal popolo: il Parlamento, in tutte le democrazie, viene nominato per questo. Durante l’ultima guerra mondiale, l’allora Premier inglese, Winston Churchill, decise di opporsi alla dittatura tedesca resistendo ad oltranza, in una ostilità durata qualche decennio, con gravi perdite umane e materiali del proprio popolo. Lo ha fatto sulla base di un ragionamento politico, di cui si è assunto la responsabilità dove la storia gli fa onore e non lo ha certo chiesto al popolo inglese che, forse, se avesse potuto scegliere, avrebbe accettato il contrario. Infine, ai problemi già noti, a parte la persistente incertezza, riproporrebbe problemi interni mai sufficientemente sopiti tra le due Irlande, reintroducendo anche i vecchi confini fisici. La Brexit costa all’UK 1 miliardo di dollari a settimana secondo la Bank of England. Di questo disastro economico, spero che prendano buona nota i fautori del sovranismo di casa nostra che, un giorno si e l’altro pure, minacciano l’uscita dall’Unione Europea. Ricordiamoci, come i Padri fondatori ci insegnano che l’Unione va costruita anche a costo di sacrifici o di perdita di sovranità, se questo serve ad assicurare un futuro di pace – come è successo da oltre mezzo secolo – di progresso e di crescita, economica e sociale. L’esperienza inglese deve rappresentare un monito per tutti i Paesi europei, quale riflessione comune che la stessa appartenenza alla Unione Europea deve imporre al netto dei tanti e forse ancora troppi egoismi nazionali.
