COSA RESTA DEL FESTIVAL. SANREMO, LA TRAP, FABER E THE ANDRE’
Ed ora che il sipario di Sanremo è calato, è venuto il momento di parlarne. L’ho promesso ad amiche ed amici sul social ed in carne ed ossa. Per la verità il sipario non è calato veramente con tutti i suoi strascichi di satanismo e di polemiche sulla vittoria. Ma ne devo parlare lo stesso per le parole dure sulla canzone vincitrice che in un primo momento ho scritto. Chi mi conosce sa che erano e sono esenti da implicazioni di nazionalità, di nome. Ma per la verità erano incentrate esclusivamente sulla musica. Io non amo il rap, non amo il trap. Tutti ormai conoscono il rap, molto meno sanno della trap.La parola “trap” deriva da trap house, appartamenti abbandonati dove gli spacciatori americani preparano e spacciano sostanze stupefacenti, la parola trapping in slang significa “spacciare”. Una musica molto legata ad ambienti e tematiche relative a vendita e dipendenza da droghe, si pensi alla canzone Rolls Royce. La musicalità, i ritmi, gli atteggiamenti e le movenze degli artisti sono simili a quelli del rap, anche se i testi di quest’ultimo genere sono spesso pieni di impegno sociale e civile.Vedo che non sto parlando più di Sanremo, ma di altro. Ritorniamo sul tema, dopo parleremo della diatriba rap-trap.Dicevo sopra della nazionalità e del nome. Ora credo che nel nostro paese, ormai, molti si chiamino Kevin o Mahmood, Christian o Lupo, Noè o Jago, ma anche Mario e Filippo, molte si chiamino Asia o Madonna, Aisha e Fatima, ma anche Maria ed Anna e tutti quanti sono a pieno diritto cittadini dello Stivale. Quindi Mahmoud è un ragazzo italiano a tutti gli effetti. Sgombrato il campo da questo aspetto, devo dire che, con il tempo la sua canzone comincia a piacermi un po’. Rimasi quasi inorridito quando i direttori d’orchestra lasciarono violini, viole, flauti, arpe per fare il ritmo con le mani. Ci vorrà il conservatorio? Pensai sul momento, per andare tempo con clack manuali? Poi non mi è mai piaciuto quel gesto dei rapper o dei trapper con le tre dita della mano indirizzate in avanti, ma non benedicenti come ad esempio il Bambinello di una Maternità di Venturino quanto, piuttosto, come nel mandare a quel paese chi ti sta davanti. Sostenevo, in poche parole, che tutti e due i generi non avevano né melodia di alcun genere , ma solo una musica cacofonica e ritmata ossessivamente con testi grammaticalmente raffazzonati e estremamente elementari. Per uno come me che ama da sempre il rock ed il pop, ma anche i cantautori e la poesia di Dylan, De Andrè, e pure di Mogol per Lucio, il nonsense di Battiato, l’impegno di Guccini o di Vecchioni capite bene che possa aver scritto anche abbastanza duramente su certi brani che si sono sentiti. E’ capitato spesso che, durante alcune esecuzioni, abbia messo le cuffie e il bluetooth e mi sia ascoltato Wim Mertens o Michael Nyman o Ludovico Einaudi o anche qualcuno dei miei motivi strumentali.E quando tornavo alla visione non era raro che ci fosse ancora un rap o una trap. Mi sono venute allora in mente le diatribe fra i due generi: La regola aurea dei quattro quarti del rap, il rifiuto della stessa della trap, l’accusa dei primi ai secondi di non andare tempo. Forse è per questo che è nato il Drill che si caratterizza con abuso dell’autotune, beat rallentati, tra i 60 e gli 80 bpm, influenzati dalla trap più cupa e liriche dall’ alto tasso di contenuti violenti, spesso gratuiti, si pensi ad esempio di Sfera Ebbasta.Poi sono successe alcune cose. Ho letto questo: “ IL RAP HA PIÙ COSE IN COMUNE CON LA POESIA DI QUANTO SI CREDA. PRENDITI DEL TEMPO PER IMPARARE A CANTARE IN METRI DIVERSI E A COMPORRE RIME…” ma soprattutto l’invio da parte di mio figlio di alcuni link strani di cui vi voglio parlare.Era un certo The André che non conoscevo assolutamente, eseguiva Rolls Royce di Achille Lauro. Mi sono soffermato sul nome del cantante. Perché The? Forse perché l’articolo determinativo inglese aveva un certa assonanza nella pronuncia con Il De del cognome di Faber? O perché è di moda? Del resto un gruppo che va per la maggiore e che a me piace molto, fra l’altro, si chiama The Giornalisti e non I Giornalisti.Ma la sorpresa più grossa è stata quando ho iniziato d ascoltare. Sono rimasto a bocca aperta. Credevo di sentire il vero De Andrè, la stessa voce, la stessa inflessione. Come Elvis! Vi ricordate la diceria che il cantante americano non fosse morto? Che sia successa la stessa cosa a Faber? Che sia ancora fra noi? Ma, a parte le elucubrazioni strane, ciò che mi prendeva era la manipolazione del pezzo. Non si trattava solo di un diverso arrangiamento, ma di un vera e propria musica e diversissima. Solo il testo era lo stesso, senza nemmeno un virgola spostata. The André si calava esattamente non solo nella voce, ma nello spirito del cantautore scomparso.Ho fatto un veloce ricerca su internet. Nessuno conosceva l’identità vera del cantante, eppure doveva, per forza essere un grande professionista. Ho cercato ancora.E sempre con l’aiuto di mio figlio ho trovato Mimmo De’ Tullio (sempre il De) e la sua “Camicia rossa” arrangiata alla De Andrè.Non so che dire. A parte Sanremo credo che ascolterò il Rap, la Trap ed il Drill con altro atteggiamento, credo che The Andrè possa essere De’ Tullio o il grande Faber è ancora con noi.Solo una cosa, ascoltate anche voi quello che ho ascoltato io.
