DOPO TORINO. LA VIA SUICIDA DELLA REPRESSIONE

DOPO TORINO. LA VIA SUICIDA DELLA REPRESSIONE

Dell’assassinio dei Murazzi si possono pensare più cose: si può volere l’omicida morto, o a «marcire in carcere», si può pensare che questo – la pena di morte, la tortura – siano un deterrente che protegge e proteggerà la società, tutti noi che preferiremmo morire che scoprirci capaci di uccidere.Oppure si può pensare che c’è invece bisogno di più amore, accogliere il grido di quell’uomo che lamentava l’assenza di amore, la perdita di qualunque cosa, in valore affettivo, gli era capitata o avesse costruito. C’è bisogno di più amore tra le persone, c’è bisogno di accoglienza, di affetto, le persone devono quanto più possibile sentirsi amate, stranieri italiani piccoli e grandi, tutti.Non è filantropia, non è bontà: è, anzi, interesse personale, un pensiero che protegge me, pensando agli altri proteggo me. È un passaggio difficile ma indispensabile, in questo momento storico in cui si sceglie, anziché una politica inclusivista, la via suicida della repressione, più repressione, più galera, meno diritti, più violenza.