LA MATERNITÀ, L’ABORTO E L’ETICA LAICA
A gennaio è stato trasmesso alle Camere, con il consueto ritardo, il rapporto che raccoglie i dati relativi alla legge 194 e che riguarda il 2017. Confermato il trend che vede gli aborti in diminuzione dal 1983 a oggi. 80.733, un 4,9 per cento in meno rispetto al 2016. Dato lontanissimo rispetto alle interruzioni volontarie di gravidanza del 1982: 234.801. Il numero degli aborti continua a scendere anche tra le minorenni, un dato che vede il tasso di abortività nel nostro paese tra i più bassi dei paesi occidentali.Bene, dati tutto sommato positivi. Ma invece che esprimere soddisfazione i commenti rilasciati al Sole 24 Ore vanno in senso contrario. Si dice che ci sono meno nati e dunque meno aborti – e questo ci sta – e poi ci si chiede quanti siano i figli voluti e quelli “casuali” e ci si risponde che finché ci sarà la componente cattolica la libertà di scelta delle donne non esisterà. Quasi che il calo degli aborti sia, invece che un dato socialmente e oggettivamente positivo, la sconfitta stessa della legge 194. Un approccio ideologico che, per inciso, impedisce di fare un bilancio corretto del quarantennio trascorso, a partire dal funzionamento dei consultori.La legge 194 fu una legge fondamentale perché cercava di dare la possibilità alle donne di ricorrere all’aborto senza rischiare la salute. Voleva contrastare una pratica clandestina rimettendo nei cardini del servizio sanitario nazionale la possibilità di interrompere la gravidanza e nel contempo cercava di ridurre il più possibile il ricorso all’aborto. “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”: vengono stabiliti i limiti garantendo a tutti (anche a chi non avesse mezzi) la possibilità di ricorrere all’aborto in sicurezza e in determinate circostanze.E proprio nella diminuzione degli aborti sta il successo di quella legge. Una legge in cui si manifestava apertamente l’intenzione di “contribuire a far superare le cause che possono portare all’interruzione della gravidanza”; e in forza a quel dettame si davano alle donne che facevano richiesta di interrompere la gravidanza 7 giorni di riflessione prima di ricorrere all’aborto e si faceva dei consultori il perno per evitare un uso troppo superficiale dell’interruzione di gravidanza perché è, ed era, (o dovrebbe essere, e sarebbe dovuto essere) comune sentire che l’aborto è un’esperienza terribile e da evitare.Constatiamo invece che l’approccio ideologico permane immotivatamente, come se fossimo negli anni Settanta, un approccio ideologico che non ci consente di andare a vedere quel che veramente non ha funzionato stretti nella retorica sul diritto delle donne, sul diritto di scelta, sull’emancipazione dalla cultura cattolica, sulla vulgata libertaria. Come se lo Stato non fosse così convinto che l’aborto è un dramma da evitare di per sé, e avesse abdicato alla retorica del diritto di scelta, come unico convenzionale diritto a cui ispirarsi. Il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana rimangono sullo sfondo, quasi fossero esclusivamente valori religiosi e non sociali e di etica laica.
