L’ARTE DEL COPIARE DI GIOVAN BATTISTA (BITTE) CAPORALI
Ci sono opere d’arte davanti alle quali passi chissà quante volte e tutt’al più gli dedichi uno sguardo distratto, come mi è capitato con quella di Giovan Battista Caporali che per me è stato sempre e solo il figlio di Bartolomeo Caporali. Lo è stato fino a quando la sua grande pala alla Galleria Nazionale dell’Umbria per un gancio che non ha retto è caduta a terra, incidente che mi ha fatto pensare ad essa e all’autore. Giovan Battista Caporali detto Bitte, figlio di Bartolomeo Caporali da cui ereditò l’avviata bottega, sebbene non eccelso è certamente stato un artista e intellettuale versatile e di valore. Miniatore, architetto, poeta, musicista e soprattutto pittore assumendo come tale una posizione di rilievo a Perugia dopo che erano venuti meno il Perugino, il Pinturicchio e, per morte precoce, Raffaello dei quali seppe “offrire una sorta di resumé dei linguaggi in una sua personale versione” (Pietro Scarpellini). Lo si riscontra nella grande tavola (286×188) con la Vergine e il Bimbo tra santi già nell’altare maggiore della chiesa degli Osservanti di S. Girolamo in Porta san Pietro. Appartiene al periodo più felice dell’artista e può essere considerata il suo capolavoro, sullo sfondo di un luminoso e penetrante paesaggio dalle influenze fiorentine, vi sono visibili gli echi del Perugino e del Pinturicchio, mentre nella Madonna in trono e nel San Giovanni Battista è evidente l’ispirazione dalla Madonna Ansidei di Raffaello. Incuriosisce nello scalino alla base del trono il cartiglio con notazioni musicali, sono le note e le parole di una lauda in due strofe “A dimandar pietà/vengo Maria a te…”versi che hanno corrispondenza con L’Hipocrito dell’Aretino, cosa che fa sospettare anche una collaborazione tra Bitte e l’amico di baldorie Pietro Aretino. Insomma, come sa chiunque si sia esercitato in quest’attività, copiare non è un’arte facile. Non significa prendere pari pari il lavoro degli altri, ma trarre da esso ciò che interessa, manipolarlo, camuffarlo, aggiungerci qualcosa di sé facendolo diventare farina del proprio sacco, come benissimo fa Bitte nella tavola di san Girolamo che speriamo di rivedere presto in Galleria.
