PUO’ ACCADERE DI NUOVO. GIFUNI LEGGE LEVI A BIENNALE DEMOCRAZIA

PUO’ ACCADERE DI NUOVO. GIFUNI LEGGE LEVI A BIENNALE DEMOCRAZIA

«È avvenuto, quindi può accadere di nuovo». Nel buio della sala del Teatro Regio, le parole di Fabrizio Gifuni risuonano nel silenzio assoluto. E’ la toccante e intensa rappresentazione dedicata a “I sommersi e i salvati” di Primo Levi portata in scena ieri sera a Torino in occasione dell’apertura della sesta edizione di Biennale Democrazia, quest’anno intitolata “Visibile e invisibile”. Lo spettacolo, curato da Valter Malosti, è stato realizzato in collaborazione con il Centro internazionale di studi Primo Levi e fa parte delle celebrazioni per il centenario della nascita dello scrittore che ricorrerà il prossimo 31 luglio. Scritto nel 1986, ultimo lavoro di Primo Levi che morirà l’anno successivo, “I sommersi e i salvati”, porta a compimento, quarant’anni dopo “Se questo è un uomo”, la testimonianza e le riflessioni che animarono quel suo primo libro. Levi indaga la memoria come strumento meraviglioso e fallace, la forza corruttrice dei nazisti, la vergogna del sopravvissuto. E torna sull’esperienza dei lager nazisti per leggerla non come un evento imprevedibile e circoscritto, un incidente della storia, ma come una vicenda che ci fa capire fin dove può giungere l’uomo nel ruolo del carnefice e in quello della vittima. La voce di Fabrizio Gifuni ha fatto rivivere, a noi che lo ascoltavamo, domande che valgono (terribilmente) ancora oggi e che è importante vengano riproposte ai più giovani, per i quali il ricordo del nazismo sta diventando sempre più lontano e più sfumato. Quali sono le strutture gerarchiche di un sistema autoritario e quali le tecniche per annientare la personalità di un individuo? Quali rapporti si creano tra oppressori e oppressi? Chi sono gli esseri che abitano la “zona grigia” della collaborazione? Come si costruisce un mostro? Era possibile capire dall’interno la logica della macchina dello sterminio? Era possibile ribellarsi a essa? E ancora: come funziona la memoria di un’esperienza estrema? Che cosa sapevano, o volevano sapere, i tedeschi? “I sommersi e i salvati” sono un testo che spazza via visioni irrigidite e stereotipate dello sterminio, e ci aiuta a guardare con maggiore consapevolezza alla complessità del mondo contemporaneo e ai rischi che su di esso incombono. «Cerco di scegliere sempre con cura le parole di cui farmi carico. La lettura ad alta voce di un testo e il rituale collettivo dell’ascolto sono gesto politico, esperienza che riguarda la polis, che abbraccia la comunità. Leggere Primo Levi è un gesto ricco di urgenza e significato. Sono parole più forti che mai» ha detto Gifuni. Che lo scorso febbraio aveva inaugurato le celebrazioni per lo scrittore torinese testimone degli orrori del nazismo leggendo “Se questo è un uomo” nell’ex campo di concentramento di Fossoli a Carpi (Modena) da dove, 75 anni fa, Levi venne deportato ad Auschwitz. «Sono grato per essere stato chiamato a inaugurare questo anniversario» aveva detto Gifuni in quell’occasione. «Quello della memoria è uno dei tema che Levi si proponeva: più si allontanano gli eventi, più c’è il rischio che si perfezioni una verità di comodo, e di mistificare, omettere. Primo Levi è un autentico patrimonio della lettura e dell’esperienza. Per me, come attore, rappresenta ciò che cerco da sempre: svuotarmi, essere un medium che scompare dietro le parole dell’autore per fare rivivere quel suono che viene da un altro corpo. Una sorte di viaggio andata e ritorno dal corpo dell’autore e dal foglio scritto e viceversa, che poi tornano al corpo dell’attore. L’esperienza dell’ascolto collettivo, del gesto performativo, ha un grande significato». Ieri sera, ad accompagnare le letture di Gifuni, le musiche di Carlo Boccadoro, Gavin Bryars, Philip Glass, James McMillan, Arvo Pärt, eseguite dall’ensemble d’archi del Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino diretto dal maestro Carlo Boccadoro. Qualche ora prima, sempre al Regio, la lectio magistralis dello storico Adriano Prosperi sul tema “La visibilità dell’altro”, che ha ripercorso le relazioni tra diverse umanità nella storia del mondo: in passato questi inaspettati incontri hanno generato la spinta d’immaginazione alla base delle grandi rivoluzioni europee. Mentre oggi paiono suscitare paura e chiusura. «Negli anni tra il 1933 e il 1938» ha detto lo storico «un battage drogato in Germania convinse di un eccesso di presenza di ebrei, tanto che la Francia respinse gli ebrei che tentavano di entrare nel Paese. Oggi, nei confronti dei migranti, si ha l’impressione di un “troppo pieno” rispetto a una realtà che invece è molto piccola». La lectio magistralis di Prosperi è stata preceduta dall’esibizione del coro Polietnico del Politecnico di Torino. Sul palco si sono esibiti in musiche africane e nel “Va pensiero” di Giuseppe Verdi giovani cantanti di 30 diversi Paesi del mondo, diretti da Giorgio Guiot e Dario Ribechi. Biennale Democrazia prosegue fino a domenica con uno straordinario calendario di incontri. Il programma è subiennaledemocrazia.it. * la foto di Fabrizio Gifuni è di Fabrizio Milani.