SAN FERDINANDO (RC), ROGO, MORTE E MISERIA ANCHE POLITICA, SOPRATTUTTO POLITICA

SAN FERDINANDO (RC), ROGO, MORTE E MISERIA ANCHE POLITICA, SOPRATTUTTO POLITICA

Freddo. Freddo di febbraio. Anche a sud, in questo profondo sud, il freddo della notte incalza. Nulla funge da schermo contro il capitano inverno che lancia la sua offensiva. Nella maratona delle stagioni sa che presto dovrà lasciare il testimone alla primavera e si affretta a recitare fino in fondo la sua parte. Indossato l’abito di scena, fatto di vento gelido, di mare in tempesta, di pioggia, di temporali , imperversa spietato nella recita senza tempo che regala sin dall’eternita’. Non riparano le finestrelle della baracca chiuse. Neppure la stanchezza regala il sonno. Il freddo è tirannico, schiavizza molto e più che la stessa fame. Lo sa Aldo, anzi Al Ba Moussa, senegalese che amava farsi chiamare Aldo. A sera, nella baraccopoli di San Ferdinando, nella piana di Gioia Tauro, non si sente il profumo di zagara degli alberi di arancio. Quell’odore che lo aveva inebriato la prima volta che le sue narici ne erano state vittima, poi liete amanti di quel profumo che era storia ancor prima di essere olezzo. Non si sente l’odore di sudore di tanti come lui con le mani fra le verdi foglie a raccogliere quell’ oro non più ricchezza per nessuno. Non si sente il respiro della fatica, il canto sommesso, quasi sussurrato, dei ritmi del suo popolo, di quella nostalgia che pervade e che se non la si allontana subito annichilisce, annienta. Così era diventato Aldo, preferendo accantonare Al Ba. Lavorava, faceva sì che la stanchezza a sera addormentasse membra, ricordi e sogni. Era Aldo il senegalese, oggi qualche giornale scrive di precedenti per spaccio a suo carico, quasi a dovere sminuire il senso di una morte orribile. Pelle scura contro il sole cocente simile al suo, quello che aveva abbandonato per inseguire un sogno di riscatto e libertà. E quel sogno non si era arenato in un deserto, non era morto in Libia, non era naufragato in mare, non si era smarrito nei vicoli di una tendopoli di San Ferdinando. Quel sogno non era stato ucciso dal sacrificio, dalla fatica, dalla disillusione di non avere trovato la felicità ma altra barbarie, altra tortura, quella dell’isolamento, dell’ indifferenza, della pavidità di un mondo che sa e tace, conosce e finge di ignorare, ghettizza e poi si indigna alla scoperta dei suoi stessi misfatti. No. La voglia di vivere era tanta, immensa, racchiusa nel sogno di un lavoro che riscatta e ti fa andare via, verso un altrove degno del tuo nome, di te. La notte fredda è un killer. Miete vittime nella baraccopoli. È il braccio armato dell’inverno che ama far parlare di sé. Aldo? Al Ba Moussa? Chi eri? Che importa? Solo cenere sei diventato ieri. Venerdì notte il freddo e l’inverno hanno preso anche te. E resta solo il mucchio di polvere che eri. Nessuno osa pensare al tuo corpo dilaniato dalle fiamme, contorcersi e supplicare un dio o gli dei del tuo popolo. Farlo significherebbe odiarsi, significherebbe ritenere ipocriti e tardivi gli interventi sempre tampone, a posteriori e mai di sistema. Farlo significherebbe dovere gridare “buffoni” a coloro che non hanno mai cercato una soluzione definitiva al problema caporalato. Buffone all’Onu che pur potendo, essendo previsto nella normativa che lo riguarda, intervenire nei paesi di origine dei migranti e fare ripristinare la democrazia, fa finta di tergiversare favorendo le lobbies delle armi e le multinazionali che sfruttano territori e genti. Buffoni ai governanti europei di qualsiasi paese e qualsiasi colore che mascherano l’incapacità con la becera intransigenza e con politiche miopi generanti solo odio razziale e xenofobia. A che serve la riunione della Commissione per l’ ordine e la sicurezza indetta all’alba di ieri, dopo la tragedia, dal Prefetto di Reggio Calabria per trasferire i migranti rimasti senza baracca ( il fuoco propagatosi ne ha distrutte 15) in una nuova tendopoli? Nel corso della riunione, il Prefetto, riferisce una nota, “ha richiamato l’importanza di attuare politiche attive di integrazione e inclusione nel tessuto socio economico della Piana di Gioia Tauro attraverso forme di accoglienza diffusa, anche ai sensi dell’art. 40 del Testo unico sull’immigrazione”. Rimedi ex post atti a tamponare i problemi, mai solutori di una piaga che non è l’immigrazione in sé o non lo è completamente, bensì il caporalato che imprende con lo sfruttamento della miseria umana. Pronto l’intervento mediatico del ministro dell’interno con la più facile e prevedibile delle ” soluzioni all’italiana”, quelle populistiche e immediatamente satisfattive dell’ego. “Sgombereremo la baraccopoli di San Ferdinando. L’avevamo promesso e lo faremo, anche perché illegalità e degrado provocano tragedie come quella di poche ore fa. Per gli extracomunitari di San Ferdinando con protezione internazionale, avevamo messo a disposizione 133 posti nei progetti Sprar. Hanno aderito solo in otto (otto!), tutti del Mali. E anche gli altri immigrati, che pure potevano accedere ai Cara o ai Cas, hanno preferito rimanere nella baraccopoli. Basta abusi e illegalità”( cfr. Corriere della Sera). Forse il ministro non sa che le baraccopoli di San Ferdinando sorgono ad ogni loro cenere, come fenice che rinasce dal bisogno, dalla fuga di un mondo distrutto verso un sogno migliore. Baraccopoli che risorgono e sono come la lettera scarlatta sul petto dell’occidente a indicare la sua colpa perenne di pavidità e ipocrisia di chi con una mano prende e con l’altra pugnala.