UNA VITA VISSUTA IN MANIERA DISSOLUTA IMPLICA UN ALLONTANAMENTO DALLA SOCIETÀ
Nel 1991, a Torino, una trans di nome Asha venne uccisa da un ragazzo che le sparò appena appartati, dopo aver scoperto che non era, nel corpo, completamente donna. Gabriele Romagnoli, in uno dei dipinti che per anni ha scritto per Vanity Fair, in un pezzo intitolato «I ragazzi dello zoo di Torino» il 27 ottobre 2005 scrive: «(…) Andai a un’udienza del processo e, come tutti, fui attratto da una presenza dominante: Valentina, all’anagrafe Cosimo Andriani, fratello di Antonio o sorella di Asha, dipende. Era alta un metro e ottanta più i tacchi, portava abiti e occhiali da diva.Ricostruii la loro storia: erano arrivati insieme da Molfetta. Venivano da una famiglia numerosa, avevano 8 tra fratelli e sorelle. Sbarcati a Torino si erano dedicati immediatamente alla prostituzione. Battevano sullo stesso viale, ma su lati opposti. L’insegna di una concessionaria automobilistica avvolgeva Asha di una luce blu. Valentina stava davanti a un semaforo. La famiglia ebbe un risarcimento in denaro per la morte di Antonio, lo seppellirono con quel nome.Scrissi un racconto sulla vicenda. Provai a immaginarla dal punto di vista del fratello sopravvissuto. Quando l’antologia in cui venne inserito fu pubblicata, la misi in auto e una sera, a giornale chiuso, uscii. Patrizia “il carabiniere” era, come sempre, all’angolo. Andai sul viale dove stava Valentina, parcheggiai, scesi a piedi e le portai una copia. Non dissi nulla. Lei mi guardò, diffidente. Dopo la morte di Asha era diventata più dura, mi avevano avvertito». L’antologia è un libro che in quegli anni amai molto, il libro che ci passavamo di mano, «Navi in bottiglia». Il racconto è a pagina 11 della prima edizione, settembre 1993. Ancora dal pezzo di Romagnoli: «Valentina aveva un fidanzato, di 26 anni, chiamato Umberto. Lui l’accompagnava al viale alle undici e la veniva a prendere alle quattro. Passava cinque ore in birreria, stando male. La pregava di non portare i clienti a casa. Impazziva quando trovava una macchia di sudore o altro sulle lenzuola. Sul comodino Valentina teneva un topolino di pietra. Alla parete un crocifisso di vetro». La ricordo la cronaca nei giorni del suo assassinio, anzi della sua scomparsa: Valentina nel 1995 sparì. Il suo cadavere non si trovò, per l’omicidio arrestarono e condannarono quell’Umberto, Umberto Prinzi. L’uomo disse che aveva ucciso «per motivi passionali», ma non rivelò mai dov’era il corpo. Poi, nel 2007, forse per impulso della coscienza, chiese di parlare con un magistrato e si fece portare sul ciglio di una strada di montagna in una valle del torinese, Valentina era lì a pochi metri, nella scarpata, avvolta in un telo di plastica. Nel 2017 l’uomo ha finito di scontare la pena, è uscito dal carcere. Si arrangiava, pare, con dei commerci in auto usate. A dicembre del 2018 è stato ucciso. L’hanno trovato in un bosco sulla collina di Moncalieri con un proiettile in corpo e segni di strangolamento. L’assassino è senza nome, si indaga negli ambienti dei balordi. Umberto Prinzi è stato seppellito giovedì 28 febbraio. Alla sua sepoltura erano in quattro: suo padre, due amici e una suora. Finisce così, in solitudine, nell’immagine di una bara spoglia senza nessuno attorno. In me, convengo, sono tirati i fili di alcuni ricordi, però è perturbante l’altro pensiero: essere seppelliti da soli. In questo, in ciò che porta ad arrivare a questo, uno dei grandi misteri, per me, sul senso.
