IL DITO DELLA MADONNA DI DUCCIO

IL DITO DELLA MADONNA DI DUCCIO

A Perugia gli anni a cavallo tra il Duecento e Trecento sono stati per l’arte anni formidabili: incaricarono Nicola e Giovanni Pisano per i marmi della Fontana Maggiore, Arnolfo di Cambio per le sculture della fonte più piccola e Duccio Boninsegna per un polittico nella rinnovata chiesa dei domenicani. Di quest’ultima opera, ora alla Galleria Nazionale dell’Umbria, è rimasta solo la tavola centrale; guardandola lo sguardo va oltre il dipinto nella parete bianca dov’è appesa: era un polittico a tre o più scomparti? A Duccio che santi avranno chiesto di dipingere in quelli laterali? Le cuspidi come saranno state? Per tornare poi al manto lumeggiato d’oro della Madonna, al suo volto malinconico, al lungo dito indice puntato verso il basso, all’affettuoso gioco di gesti tra madre e figlio che umanizza la fissità bizantina, al Bambino ricoperto da un velo trasparente che stufo di posare tira il velo della madre e sembra dirle “basta mamma di stare tutto il giorno in posa davanti a tutti. Andiamo di là a giocare”. Dopo ricordi la tradizione secondo la quale la Vergine durante il Calvario coprì le nudità di Gesù con lo stesso velo con il quale l’aveva coperto quando nacque; pensi che i piedini del figlio – così teneri e paffutelli da sbaciucchiare e mordicchiare – sono incrociati come i piedi nelle crocifissioni e immagini che quel velo stretto dalla manina del figlio e quel dito indice della madre che sembra indicare il punto del piede dove verrà conficcato il chiodo vogliano rievocare la Passione che Cristo vivrà per noi.