LA GRAVITA’ DEL CASO CUCCHI
Non so se siamo consapevoli fino in fondo della gravità del caso Cucchi, dell’allarme che suscita. Un ragazzo fisicamente inoffensivo viene colpito a morte conpugni e calci in faccia in un luogo dove si dovrebbe essere al sicuro, che dovrebbe essere un presidio inattaccabile di legalità: una caserma dei Carabinieri. A quel punto comincia la costruzione del falso con le bugie scritte sui verbali e le minacce ai militari che non se la sentono di essere complici. Le coperture vengono assicurate anche da altissimi ufficiali dell’Arma. Non solo. Vengono indicati altri colpevoli, come i medici del Pertini o gli agenti di Polizia Penitenziaria. La lettera di scuse del Comandante Generale o l’ipotesi di costituzione di parte civile mi provocano più paura che sollievo. Voi sapevate tutto sin dall’inizio e avete protetto gli assassini invece che chi voleva raccontare la verità. Le scuse dopo nove anni di omertà e di falsi suonano come una sconfitta per tutti: per i cittadini che hanno fiducia nei Carabinieri e per coloro che, prestando servizio nelle Forze dell’Ordine, credono davvero nel giuramento di fedeltà alla Costituzione. Non servono le scuse dopo essere stati smascherati, occorre un modo diverso di addestrare e una vera educazione all’esercizio democratico del potere di repressione. Niente di tutto questo. L’attualità è dare a tutti il diritto di portare un’arma e di sparare, o di cacciare i Rom dai centri di accoglienza. E in tutto questo, l’unica presenza politica è quella degli odiatori. Ciò che resta della sinistra ancora una volta tace. D’altronde, le spoglie non possono parlare. Come successe, nove anni fa, al povero Stefano Cucchi. Ma lui venne ucciso, non si è suicidato. Ora e sempre Resistenza.
