L’EUROPA DI UN ATEO DEVOTO
Ernesto Galli della Loggia giornalista e storico L’identità smarrita e oggi (ma tardi) riscoperta nell’emozione suscitata dall’incendio di Notre Dame. Le radici “cristiane” dell’Europa disconosciute “dai pregiudizi delle élite politiche e mediatico-culturali”. Solo un illustre “ateo devoto” come il professor Ernesto Galli della Loggia e un quotidiano conservatore come il “Corriere della sera” potevano riproporre, a un mese esatto dalle elezioni europee del 26 maggio, il dibattito di una quindicina di anni fa, quando venne avanzata la proposta di introdurre, nel preambolo della costituzione europea, un riferimento alle “radici cristiane” del Vecchio Continente. La risposta, come è noto, fu che una Costituzione rappresenta di per sé un giuramento rivolto al futuro e non al passato, una normativa concreta destinata ad unire, non a dividere i cittadini in base alla religione o all’etnia. Quella proposta venne quindi bocciata, prima ancora che i referendum popolari in Francia e in Olanda bloccassero l’intero progetto costituzionale. E’ significativo, al riguardo, che Galli della Loggia attribuisca quella reazione emotiva all’incendio della cattedrale parigina “alle centinaia di morti e feriti prodotti dagli attentati islamisti, alle decapitazioni e agli altri orrori dell’Isis. Non c’è nulla come la percezione prolungata della presenza del pericolo e di un nemico per rendere coscienti della propria identità e per sentire il bisogno di manifestarla”. Un’identità dunque che nasce sulla contrapposizione amico-nemico, né più né meno di quella evocata dai giuramenti sul rosario o sul Vangelo da Matteo Salvini sul pratone di Pontida. Con riferimento a una cristianità che ha sempre ignorato storicamente quanto c’è di più cristiano nella predicazione di Gesù Cristo: “amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”. “Di che diavolo di cristianesimo stiamo parlando?”, si chiedeva qualche anno fa Frei Betto, teologo brasiliano, uno dei massimi esponenti della Teologia della Liberazione, ricordando che “non fu il cristianesimo a evangelizzare l’Occidente, ma fu il capitalismo occidentale a impregnarlo del suo spirito usuraio, individualista, competitivo. Che cosa ci presenta la storia come risultato? Tutte le nazioni schiaviste della modernità erano cristiane. Erano cristiane le nazioni che promossero il genocidio indigeno nell’America Latina….erano cristiani i governi che hanno scatenato le due grandi guerre del 20º secolo e il Paese che ha calcinato migliaia di persone con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki…Ostentavano la qualifica di cristiane le dittature che, il secolo scorso, hanno proliferato in America Latina, patrocinate dalla CIA. Sono cristiani oggi i paesi che più devastano l’ambiente. Così come sono cristiane quelle che più producono pornografia e alimentano il narcotraffico. Sono cristiane infine molte nazioni, tra cui Brasile, in cui la disuguaglianza sociale è clamorosa”. Difficile dargli torto. Pertanto, se oggi dovesse proporsi la rinegoziazione di un trattato costituzionale, cosa del tutto improbabile per un’Europa a 27 come l’attuale, l’idea di scavare nelle radici “cristiane” continuerebbe ad essere non solo assurda ma anche dannosa. Ci porterebbe a scoprire un passato di lotte sanguinose per il potere e la sopraffazione. Comunque un passato di divisione, anche se non soprattutto religiosa. Ogni Costituzione democratica invece, come la nostra nata dalla resistenza al nazifascismo, non può essere altro che il patto di una comunità per il suo futuro. Quel patto, nato dal manifesto di Ventotene, ha bisogno oggi di essere rinnovato, forse anche rinegoziato. Parlare di più Europa o meno Europa è soltanto un espediente retorico. Chiarire invece la forma e il ruolo che intendiamo dare all’Unione Europea in una prospettiva oggi necessariamente globale della politica e dell’economia, questo sì che sarebbe importante ma raramente le idee o i progetti al riguardo escono dal generico. Anche tra gli europeisti, quando non si grida alla catastrofe sovranista, ci si limita per lo più a denunciare l’austerity, l’insufficienza di un’Europa tecnocratica focalizzata sui temi monetari e finanziari ma ancora priva di competenze adeguate sulle politiche sociali e migratorie. Di quale ruolo dovrebbe svolgere la politica estera dell’Unione in rapporto con le grandi potenze non si parla affatto. Né si parla di come affrontare il tema di un modello di sviluppo compatibile con la difesa dell’ambiente e l’esigenza di far fronte alla spaventosa crescita delle disuguaglianze di questi decenni. Come un grande pensatore europeo, Edgar Morin, io credo che anziché contrapporre Stato a Stato o Continente a Continente, “noi possiamo considerare la Terra come patria senza che questa neghi le patrie esistenti, ma, al contrario, le inglobi e le protegga”. E come un maestro della mia formazione giovanile, padre Ernesto Balducci, che ricordo sempre decisamente ostile ad ogni cultura eurocentrica, penso anche che sia venuto il tempo di passare, al di là di una pur sempre auspicabile cittadinanza europea, a quella civiltà postmoderna dell’uomo planetario che avrebbe aperto, diceva, una fase ulteriore della convivenza umana globale tra diversi.
