MIGRANTI IN PERICOLO DI VITA MA SOCCORRITORI ITALIANI E LIBICI NON SI CAPISCONO

MIGRANTI IN PERICOLO DI VITA MA SOCCORRITORI ITALIANI E LIBICI NON SI CAPISCONO

Ad accrescere i pericoli a cui vanno incontro i migrantinon sono solo quelle carrette del mare, spesso stracolme e fatiscenti che si barcamenano in mare aperto in cerca di un porto che li accolga. Né sono i continui dinieghi di attracco e di accoglienza da parte degli Stati membri europei. Con lo sguardo girato altrove, indifferenti alla sofferenza di chi fugge dalla fame e dalla miseria più nera. E neppure le direttive del governo italianoche ‘avvisano’ le ong a rispettare le regole della navigazione internazionale, ong viste come ‘trafficanti di esseri umani’ e per questo messe al bando. Ad accrescere i pericoli anche la burocrazia. E la mancata comunicazione. Intesa, quest’ultima, proprio come incapacità a comprendere semplici messaggi di SoS tra chi li lancia e chi li riceve. Il 17 marzo scorso, arriva a Tripoli una chiamata dal coordinamento di Roma che deve girare ai colleghi libici unSoSdi un gommone in avaria con 48 migranti a bordo. La situazione è tragica, il mare è molto mosso e i naufraghi sono in pericolo di vita. La trasmissione di unSoS (Save Our Souls = salvate le nostre anime)dovrebbe essere immediato per dare modo ai soccorritori di intervenire quanto prima. Succede però che al centralino di Tripoli, addetto ai soccorsi (che per legge deve essere attivo 24 ore al giorno), manchi l’ ufficiale della guardia costiera locale che parli inglese e che comprenda la segnalazione.Passeranno minuti preziosi, un buon quarto d’ora prima che si trovi un interprete in grado di segnalare a chi di dovere le coordinate del gommone.Un quarto d’ora d’inferno per chi lotta per sopravvivere