NEL CENTRO STORICO DE L’AQUILA, TRA LE CASE RICOSTRUITE E LE MACERIE DEI CUORI
“Lo so che voi tutti venite qui e rimanete sconvolti a guardare i palazzi in rovina, le macerie, i cantieri, le armature d’acciaio, i segni del crollo e quelli della ricostruzione, ancora molto parziale. Ma credetemi tra quello che guardate voi non aquilani e quello che vediamo noi che a L’Aquila ci siamo nati e cresciuti c’è una grande differenza.E non lo dico perché voglio marcare le diversità e giocare all’isolazionismo. Il fatto è che con il terremoto devi esserci abituato a convivere. Per noi la terra che trema è la normalità, lo fa spessissimo. Ma osservare per 23 interminabili secondi la tua vita accartocciarsi sotto un cumulo di polvere non è qualcosa da cui ti riprendi. Quella ferita resta e soprattutto ti cambia per sempre. Anche se non hai morti in famiglia. A morire dentro siamo stati tutti”. A parlare è una giovane donna che però ha fatto in tempo a conoscereL’Aquila prima del 6 aprile 2009,quando il più grande centro storico d’Italia, il gioiello medievale popolato di artigiani e universitari, è stato raso al suolo, come una Beirut senza guerra. E, senza neppure voler cercare le coincidenze, ecco che proprio ieri notte, alle 22,42 a L’Aquila c’è stata un’altra scossa. Nessun danno, niente che qui non siano abituati a gestire girandosi dall’altra parte del letto o facendosi il segno della croce, ma certo un’evidenza con la quale si è dovuto imparare a fare i conti.
