RICORDANDO UMBERTO ECO
[Carte ritrovate]Nel 2000 accadde all’Espresso un piccolo incidente. Umberto Eco era in viaggio, dall’altra parte del mondo, non era raggiungibile e non avevamandato la sua rubrica: “La Bustina di Minerva”. Un guaio vero. Il direttore non voleva farla saltare, anche perché sarebbe stata la seconda volta in poco tempo, e chissà quali inutili dietrologie si sarebbero inventati. Mi chiamano, e mi dicono: “scrivi tu la Bustina come fosse Eco, la pubblichiamo firmata da lui, tanto con te non si arrabbia”. La scrivo e finisce in pagina: nessuno all’ufficio centrale si accorse che era un falso. Ma all’ultimo momento arrivò la Bustina vera, e ci risparmiammo questa cosa, per fortuna. Pochi mesi dopo averlo conosciuto (era il 1981), Umberto, mi consigliò di leggere un libro edito da Bompiani, di Paolo Vita-Finzi, intitolato “Antologia apocrifa”. Era un’antologia di falsi di grandi autori. Beh in qualche modo, questo è l’apocrifo, del tutto inedito, che mancava]_____________________________ Un mio amico mi telefona indignato. In una trasmissione televisiva alcuni studenti sostenevano che «lavare i panni in Arno» fosse riferito a Petrarca, mentre altri dicevano che non lo sapevano. Qualcuno più timido aveva buttato lì un Manzoni, ma senza neppure crederci troppo. Va da sé che a naso non dovevano neppure avere torto. Se si pensa che Petrarca veniva da Arezzo, da dove l’Arno di certo non passa ma che si trova comunque in Toscana. Mentre il Manzoni, milanese che più di lui nessuno, al massimo i panni li lavava sui Navigli (che allora erano molti più di oggi e certo più puliti), o se proprio voleva spostarsi aveva il Ticino o qualche lago dei dintorni. Il problema è che nella comunità degli ospiti televisivi è difficile che sapessero dove fosse nato Petrarca: che molti anche tra quelli che hanno superato la scuola dell’obbligo pensano sia Firenze (come per Dante). Per cui non era un ragionamento logico, ma a prima vista un tentativo casuale. Dico a prima vista perché se poi si va più a fondo ci si accorge che le letture in questi ragazzi sedimentano e arrivano quando uno meno se lo aspetta. Sbagliato pensare che si siano utilizzati dei criteri geografici. È improbabile pensare che sapessero il luogo di nascita di Petrarca. E’ più facile che rammentassero il luogo natìo di Manzoni, se non altro per l’episodio dei “Promessi sposi” sulla peste di Milano, che a scuola si studia. E che rimane nella testa come i Bravi, l’Innominato e la Monaca di Monza. È però assai facile che di Petrarca si ricordi quello short message che, utilizzato da agenzie pubblicitarie per invitare a perdersi in paradisi tropicali, suona nella mente quasi quanto una strofa di Lucio Battisti: “chiare, fresche, dolci, acque”. Dunque, il mio amico indignato si è fermato in superficie. Quello che lui aveva scambiato per un errore, per un segno della decadenza, per un mala tempora currunt, era invece un colto ragionamento che corre sul fondo. Se Petrarca si occupa di acqua, chi tra i poeti sarà andato a sciacquare i panni in Arno se non un toscano che propeio di fresche acque ha parlato in un suo mirabile verso? Senza poi contare che il Manzoni alla storia non è passato per questo, ma per matrimoni falliti ed esilii a Sant’Elena. Ergo: era assai più logico fosse Petrarca che Manzoni. Qualcuno potrebbe obbiettare però che in questo modo gli studenti ospiti del programma televisivo mostrano certamente di ricordare frasi, versi e provenienze, ma non hanno la benché minima idea di cosa queste significhino, e che Petrarca, toscano, non avesse alcun bisogno di purificare la sua lingua, che peraltro si era quasi inventato, mentre Manzoni veniva da secoli di confusioni, dialetti, idiomi, e un’aggiustatina doveva dargliela. Ma in epoca di dizionari della lingua che vendono più di Tex Willer non deve stupire. A nessuno viene in mente che una lingua si possa cambiare migliorandola. E se sorge qualche dubbio, basta andare a cercare e si trova una riposta indiscutibile. Dunque sciacquare i panni vuol dire per loro purificarsi, levarsi di dosso impurità dubbi, o chissà che altro. Che da sempre è pratica seguita con quell’ardore, spesso pericoloso, di cui tutti sappiamo. Il mio amico obbietterebbe, a questo punto, che quei ragazzi non consultano dizionari della lingua italiana se hanno dei dubbi. Ma questa è un’altra storia ancora, che qui non posso approfondire, perché mi è finito lo spazio.
