PRIMA CACCIA AL TESORO IN CUI I CACCIATORI SI STAMPANO IL TESORO

PRIMA CACCIA AL TESORO IN CUI I CACCIATORI SI STAMPANO IL TESORO

Se vi piace la caccia al tesoro – come gioco, passatempo, rebus enigmistico, giallo intricato o citazione letteraria – siete nel posto giusto. E la caccia al tesoro presuppone che ci sia un tesoro, che nessuno sappia dov’è, oppure che chi sa dov’è lo tenga ben nascosto agli altri concorrenti, come fa il viceministro all’economia Massimo Garavaglia: “Le coperture ci sono, non le dico altrimenti Di Maio me le ruba”. Questa immagine di Di Maio che ruba le coperture a Garavaglia, pare una nuova variante della politica economica – gli studiosi la collocano tra Keynes e Macario – e intanto veniamo a sapere per vie traverse (lo dice uno degli economisti ultras della Lega, tale Rinaldi) che il tesoro che tutti cerchiamo è di 53 miliardi di euro. Il giallo s’infittisce. Cresce la tentazione di catturare e torturare Garavaglia perché dica tutto: “Dove sono ‘ste coperture? Parla subito, oppure diamo il tuo numero di telefono a Calenda!”. Che orribile minaccia. Mentre si segue la pista principale – Garavaglia sa dov’è il tesoro e Di Maio si mette la tutina da Diabolik per derubarlo – nella Lega dilaga il surrealismo. Da Losanna Giancarlo Giorgetti, potentissimo della Lega, una specie di Salvini senza cotechino nell’inquadratura, manda platealmente al diavolo un sedicente economista della Lega, Claudio Borghi, negando la possibilità di calcolare come parte del tesoro i famosi mini-bot. In effetti sarebbe la prima caccia al tesoro al mondo in cui i cacciatori si stampano il tesoro da soli. Il ragionamento di Giorgetti ha un senso: “Se i mini-bot si potessero fare li farebbero tutti”. Elementare. Che è anche, tra parentesi, la cosa che dovrebbe dirsi sempre chi ha un’idea nuova: magari se non l’ha mai fatto nessuno prima, ci sarà un motivo. Come per incanto, riparte l’epopea dei mini-bot, che è una sotto-trama del giallo principale (il tesoro da 53 miliardi). Non solo i mini-bot nessuno sa esattamente cosa sono, ma nessuno sa nemmeno come si scrive mini-bot (io scelgo il trattino radical-chic, ma qualcuno lo scrive tutto attaccato, minibot, e altri con lo spazio, mini bot). E’ un po’ come se si discutesse del ritorno alla li-ra o alla l’ira. Grande confusione. Alimentata dal fatto che alcuni sostenitori del mini-bot ne hanno diffuso dei fac-simile dove ci sono Tardelli, Falcone e Borsellino e Oriana Fallaci (5, 10, e 20 euro), e invece di pensare a cercare il tesoro, tutti hanno cominciato a discutere forsennatamente: e perché non Pertini? E Sofia Loren, no? Eccetera, eccetera. Divertente, ma ricordo a chi si è distratto dicendo la sua (e Totò?), che stiamo sempre cercando 53 miliardi di euro che solo Garavaglia sa dove sono (ma non lo dice). Naturalmente i mini-bot avrebbero un nobile scopo: quello di saldare i fornitori della pubblica amministrazione che vengono pagati con enorme ritardo con soldi veri, mentre così verrebbero pagati in tempi ragionevoli con mini-bot da cinque euro sui quali campeggia Tardelli esultante perché ha segnato alla Germania, oppure la sora Fallaci che voleva far saltare le moschee in Toscana. Lo spericolato immaginario leghista. Del resto, l’alternativa è secca, e questo lo dice sempre il Rinaldi di cui sopra, leghista economico: per trovare 53 miliardi “o si usa la bacchetta magica o si usano i mini-bot”. Bene, apprezziamo le basi scientifiche del ragionamento. Resta da capire come, quando, quanto, in che modo funzioneranno, chi li potrà ricevere, o magari spendere, o magari (esagero, attenzione) incassare come fossero soldi veri. Intanto che (non) se ne discute continua la caccia al tesoro, che è quel che poi è diventata da anni la vera pratica italiana della politica economica, un cercare riserve dimenticate, tesoretti spuntati dal nulla, risorse insperate. Garavaglia, che sa, tace, se no Di Maio gli ruba le coperture.