ELEZIONI ISRAELIANE. BARAK ENTRA IN CAMPO E RIMESCOLA LE CARTE

Uno spettro si aggirava nei corridoi della politica israeliana, quello di Ehud Barak, capo di stato maggiore, primo ministro, ministro della difesa, ma soprattutto la maggiore minaccia per Netanyahu sulle prossime elezioni politiche che si terranno il 17 settembre prossimo. L’annuncio, dato pochi giorni fa, ha ridestato una campagna elettorale per il momento estremamente soporifera. Sono anni che Barak critica ferocemente l’operato del premier israeliano, ma sempre nei panni di spettatore, senza chiamarsi mai direttamente in causa. L’ex primo ministro laborista sperava in una grande ondata di protesta popolare che fosse sufficiente a spodestare Bibi, accusato di frode, corruzione ma soprattutto di condurre Israele verso il baratro esclusivamente per salvaguardare i propri interessi, sia quelli politici ma ancora di più quelli personali. Una volta constatato che le speranze erano risultate vane, ha deciso di prendere l’iniziativa e varcare il Rubicone. Agli occhi di Netanyahu, Barak è il solo rivale che possa metterlo in difficoltà. E’ intelligente, preparato, carico di esperienza, dotato di un ragionamento analitico molto sviluppato ma soprattutto, e questa potrebbe essere la sua carta vincente, al di fuori di scandali finanziari e corruzioni che hanno ormai incrinato la stabilità e la credibilità dell’attuale primo ministro israeliano. Ma anche Barak ha i suoi lati negativi, e non sono pochi. E’ arrogante, antipatico, non riesce a emanare abbastanza calore umano per far cadere quelle invisibili barriere che possono ostacolare la riuscita dei rapporti interpersonali che nella politica sono essenziali. Ma Netanyahu lo teme perchè sa che è sufficientemente popolare per riuscire a “rubare”, sebbene in minima parte, voti dal naturale bacino elettorale della destra. Il partito di Barak esiste per il momento soltanto sulla carta, non ha un simbolo, un inno, e anche la lista dei candidati alle prossime elezioni è molto vaga. L’ex premier è convinto che l’unica possibilità di battere Bibi sia quella di formare un blocco di coalizione abbastanza numeroso da costringere il presidente della repubblica ad affidare l’incarico di formare il governo ad un rappresentante del centro sinistra che sia in grado di attrarre nella sua orbita anche partiti storicamente legati ai governi del Likud. Barak non è uno sprovveduto, e sa che i seggi che riuscirà a racimolare non saranno molti, ma spera di entrare a far parte della futura compagine governativa grazie al fatto che, obiettivamente, è l’unica alternativa credibile al governo in carica. L’entrata in campo di Barak ha sicuramente scombussolato le carte in tavola, ma è ancora troppo presto per trarne le dovute conclusioni, Per il momento ognuno dei leader politici israeliani ha problemi molto più urgenti da risolvere. A sinistra c’è troppo Ego, e nessuno è disposto a lasciare il passo agli altri partecipanti alla cordata verso la vetta del potere. La destra è completamente Natanyahu-dipendente, e questo potrebbe facilmente trasformarsi in un effetto boomerang, non mi stupirei che una volta conclusesi le elezioni, molti ministri e deputati delle formazioni del centro destra abbandonassero la nave anzitempo. Tutto dipenderà chiaramente dai risultati, ma basterebbe anche un leggero calo dei voti ricevuti dal partito al potere per indurre i suoi fedelissimi a convincersi che ormai il cambiamento è inevitabile. Un’altra variabile da tenere in conto è l’elettorato della minoranza araba che costituisce il 20% della popolazione. Nelle ultime elezioni era girato un tam tam mediatico che invitava la popolazione araba a disertare le urne in segno di protesta, non solo verso la politica governativa, ma anche verso le prestazioni politiche dei deputati arabi accusati di occuparsi troppo della questione palestinese tralasciando così i problemi pricipali della minoranza araba: occupazione, edilizia, delinquenza, ecc. I partiti arabi hanno raccolto 10 seggi, tre in meno della legislatura precedente, e la loro percentuale di votanti è molto più bassa della media nazionale. Un radicale cambio di tendenza potrebbe essere la vera svolta delle prossime elezioni.