BUON PRIMO MAGGIO. SOPRATTUTTO A CHI E’ MORTO SUL LAVORO.

BUON PRIMO MAGGIO. SOPRATTUTTO A CHI E’ MORTO SUL LAVORO.

Il primo di maggio. Una giornata di riflessione, per tutti. Riflettere su tutti coloro che, osteggiati dalla politica e calpestati dalla celere durante le manifestazioni in piazza negli anni ’50 manifestavano a favore delle tutele sindacali e personali per il lavoratore dipendente, tutto quello che dall’ avvento del Berlusconismo in poi i governi hanno fatto di tutto per abrogare. Riflettere sul mercato del lavoro, una volta etico e paritario mentre oggi è ridotto solo a un mercato di schiavi sottopagati. E riflettere anche sullo stato di indigenza di chi il lavoro l’ ha perso. Ma, una volta ogni tanto, voglio impormi una riflessione sgradevole, odiosa: voglio rivolgere un pensiero a tutti coloro che il primo maggio non lo potranno festeggiare. Morti bianche: definizione sterile e sgradevole che qualifica tutte le morti non violente occorse durante il lavoro. A Bologna, un’ Associazione di volontari ha istituito “L’Osservatorio Indipendente di Bologna morti per infortuni sul lavoro” col compito di censire il numero delle “morti bianche” al fine di sensibilizzare l’ opinione pubblica. Censire le morti bianche, che sono solo la punta dell’ iceberg di un fenomeno sociale devastante, quello degli infortuni sul lavoro, non solo quelli che dopo cure e normale decorso si risolvono spontaneamente come le normali malattie, ma soprattutto quelli invalidanti in maniera permanente, un fattore trascurato da tutti, percepito solo dagli interessati e dai loro famigliari ma che costituisce, con le spese per la riabilitazione, per l’ assistenza e tutto il resto, un costo sociale esorbitante. Osservatorio costituito e attivo dal 1° gennaio 2008 in onore dei sette lavoratori della ThyssenKrupp di Torino, morti durante il turno notturno del 6 dicembre 2007 a causa di una grave negligenza sulla prevenzione antinfortunistica attuata dall’ azienda e alla mancanza di un apparato di sicurezza funzionante e manutenzionato. Dalla sua costituzione sono stati censiti oltre cinquemila infortuni, di cui 2533 sul posto di lavoro e gli altri imputabili a cause assimilabili (incidenti stradali recandosi o tornando sul posto di lavoro, incidenti durante i movimenti per trasferte e tutti quelli non verificatisi durante attività lavorativa propriamente detta) e soprattutto, dato non computato ne rilevato dalle statistiche ufficiali dell’ Inail (Istituto NAzionale per gli Infortuni sul lavoro) quello delle morti “invisibili”, ovvero dei lavoratori “in nero” non risultanti dalle assunzioni effettuati e dalle denunce obbligatorie, imprenditori che, per loro attività non sono assicurabili presso l’ INAIL e il personale che, utilizzando autovetture o automezzi per il loro lavoro o che rientrando al domicilio in orari notturni dopo turni di lavoro massacranti (ThyssenKrupp docet) vengono genericamente ascritti alla generica categoria “incidenti stradali”. Nel 2012 sono morti 1180 lavoratori, stima indicativa, di cui 625 sui luoghi di lavoro o attendendo mansioni propriamente lavorative mentre non esiste una stima precisa e certa sul “limbo”, le persone decedute in itinere e sulle strade che dovrebbero essere giustamente, ai sensi delle normative vigenti, riconosciuti come morti per infortuni sul lavoro a tutti gli effetti. E giunge  il dato relativo ai primi mesi di quest’ anno. Dall’inizio dell’anno sono documentati 147 lavoratori morti per infortuni sui luoghi di lavoro. Il 33,3%  sono morti in edilizia, il 31% in agricoltura dei quali la maggioranza schiacciati dal trattore che guidano, il 17,5% nei servizi, il 6,5% nell’autotrasporto, il 5,5% nell’industria (compresa la piccola industria e l’artigianato). Se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere si superano le  300 vittime, stima orientativa in quanto dati che le statistiche ufficiali degli enti previdenziali e assicurativi non contemplano direttamente. E soprattutto dati aggiornati, purtroppo, in tempo reale: da quando (ieri l’ altro) ho iniziato a raccogliere i dati per la stesura dell’ articolo, il contatore ha rilevato da allora un macabro +3. Dati agghiaccianti di per sè (le statistiche sono fatti di numeri, e i numeri sono gelidi per loro natura) ma che acquisiscono valori disumani se rilevati in forma ponderata, ovvero se ricondotti al numero degli occupati e alle ore di lavoro effettuate. In forma statisticamente ponderata, l’ Italia ha un rapporto morti sul lavoro / manodopera occupata triplo rispetto al resto dell’ Europa, segno che in altri paesi morire sul lavoro è un fatto eccezionale, non una trascurabile consuetudine quotidiana che merita solo qualche riga sulla stampa locale. E che malgrado l’ introduzione di norme specifiche di prevenzione antinfortunistica come la legge 626 del 1994 integrato e modificato dalla legge 81 del 2008, per altro non frutto di lungimiranza e democrazia da parte del legislatore ma solo adeguamento obbligatori alla normativa CEE, oggetto di sanzioni pesanti in caso di inadempienza, il tasso “reale” di morti sul lavoro è di fatto raddoppiato, considerato i morti riferiti ad una massa di personale occupato molto più bassa (il tasso di disoccupazione è esploso nell’ ultimo quinquennio) e a un monte ore lavorabile ridottosi rispetto al passato (a causa dell’ incremento esponenziale delle ore di cassa integrazione e di sospensione delle attività produttive aziendali). E mi giunge un pensiero: come mai? L’ abuso di cassa integrazione oltre i limiti realmente necessari è spesso, per le aziende, un mezzo utile per ridurre i costi del personale: malgrado quanto enunciato da “grandi volti” dell’ imprenditoria italiana, il nostro costo del lavoro sarà alto a causa dell’ imposizione fiscale, ma la produttività individuale del lavoratore italiano è ai vertici a livello mondiale. Cassintegrare (riducendo spesso i tempi di lavoro reale) e costringere i propri lavoratori a turni massacranti per comunque garantire la produzione con la minaccia di ritorsioni e licenziamenti è una delle grandi cause degli infortuni (anche mortali) sul lavoro, collocati spesso in turni notturni o in ore di straordinario, spesso per altro non retribuite, e quando dopo 10 ore di lavoro la stanchezza prende il sopravvento, la disattenzione è in agguato e l’ infortunio grave sul lavoro pure. E, anche se i lavoratori sono più informati che una volta, ora è più facile ricattarli, perché “o lavori senza piantare grane o sei fuori”, e se l’ alternativa è perdere il mezzo per mantenere la famiglia, si accetta anche di lavorare in situazioni precarie e insicure. E in aziende che potenzialmente potrebbero lavorare ma che sono in grave crisi finanziaria, che non possono tagliare sul costo della manodopera ormai al lumicino e sul costo dei materiali, costi fissi di produzione, il costo per la sicurezza sul lavoro è il primo costo su cui intervengono con tagli, sulle visite mediche periodiche, sui dispositivi di protezione individuali e sui check periodici su utensileria e mezzi di produzione utilizzati. Motivo per cui, che sia vera festa dei lavoratori, tutti: per chi il lavoro ce l’ ha, per chi il lavoro l’ ha perso ma soprattutto per chi non può lavorare, essendo morto o divenuto invalido permanente solo per portare a casa il sostentamento per la famiglia, perché se l’ Italia è una repubblica fondata sul lavoro e il lavoro è un diritto per tutti, tale diritto non deve uccidere gente, straziare famiglie, rendere invalide le persone. Non con la facilità e la frequenza con cui succede in Italia, le cui statistiche ci collocano tra i paesi del Terzo Mondo, quelli con la manodopera più sfruttata e nelle condizioni più precarie. E un sentito ringraziamento ai ragazzi dell’ L’Osservatorio Indipendente di Bologna morti per infortuni sul lavoro, bolognesi come me, che con il loro sito (http://cadutisullavoro.blogspot.it/) lavorano tutti i giorni fornendo consulenza alle vittime e agli invalidi e ad aggiornare l’ anagrafe delle vittime, tanto per ricordarci, malgrado la stampa e la disinformazione colposamente trascurino il problema, che questo è un dramma grave, un dramma che tutti, legislatori in primis, dovrebbero tenere più presente. Perché essere dimenticati invano è altrettanto grave dell’ essere morti solo per guadagnarsi un salario, per mantenere se stessi e la propria famiglia. P.s.: i dati forniti dall’ Osservatorio (almeno per i dati relativi agli infortuni sul lavoro propriamente detti) sono dati corretti e scientificamente esatti, essendomi preso la briga di raffrontarle con le statistiche diramate dagli enti previdenziali ed assicurativi che però trascurano le morti “grigie”, ovvero quelle non occorse durante la prestazione lavorativa ma comunque imputabili a cause di lavoro