CONTROCORRENTE. LA LUPARA E LA CROCE

CONTROCORRENTE. LA LUPARA E LA CROCE

Esiste uno strano ed inquietante connubio in Italia, che vede coinvolte due parti assolutamente contrapposte e, all’apparenza, non conciliabili. Da un lato infatti si erge, nella sua sontuosa presenza, la Chiesa Cattolica, assieme ad i suoi servitori, capillarmente diffusi e sparsi sul territorio, pastori di greggi sempre meno coinvolti e sempre meno folti. Uomini che impugnano la croce, alla ricerca di salvezze per anime che non si fanno trovare se non quando vogliono loro. Parole, segni, e twittate, nel segno di tempi che concedono messe cibernetiche e padre nostro ricordati con applicazioni apposite, fino a quando non si arriverà ad un “ego te absolvo” in cambio di 50 like su immagini sacre. Dall’altro lato della barricata morale, in opposizione alla schiera dei santi e dei loro servitori, si trovano i criminali. Dai mafiosi ai camorristi ai pugliesi della sacra corona unita. Tutte persone che sulla coscienza hanno il peso del dolore causato al prossimo, tra morti ammazzati e suicidati, tra estorsioni, bagni nell’acido, rapine, spaccio e tutto quello che può foraggiare un mercato dove di umano non c’è nulla, se non un certificato di nascita. Eppure, nonostante la loro esistenza, i criminali hanno fede. Sono devoti. Anzi, sono più credenti di chi non ha bisogno di dogmi morali o di codici etici per comportarsi degnamente. Sono quasi infervorati dalla loro affiliazione alla Chiesa. Nei paesi dove la processione è il culmine della vita sociale, sono spesso i malavitosi ad accaparrarsi, a suon di soldoni, i posti migliori per portare in spalla l’immagine sacra lungo le vie prescelte. La mazzetta la pagano loro per mostrare di essere meritevoli, anche se si spera che chi di dovere rifiuti i soldi, non potendo rifiutare la richiesta. Perché un prete è comunque un uomo, e se morto un Papa se ne fa un altro, figurarsi se non si può fare un prelato minore. Non è raro poi, e la cronaca lo ricorda, che qualche padrino abbia un inginocchiatoio nel proprio rifugio, con tanto di testi sacri a cui far riferimento, ed è quasi miracolosa la capacità di questi personaggi nello sdoppiarsi, passando dal sacro libro al pizzino con la stessa facilità con cui un si passa dal caffè al cappuccino, ed anche con minor dubbio. Che dire dei devoti di Puglia, che già nel nome, sacra corona, mostrano il materiale spirituale di riferimento, una sacralità sacrilega eppure ostentata, così come sono ostentate le donazioni, e gli abbellimenti dei luoghi famigliari per l’eterno riposo delle loro famiglie. Una contrapposizione condannata in prima persona da Francesco, ma evidentemente per i fruitori criminali della parola del Signore, è più che valido il motto “fai ciò che il prete dice ma non fare ciò che il prete fa”, pertanto si pentono ma non si allontanano, in una osservanza quasi dicotomica, per non dire paracula, della predica pontificia. Sembra materiale da film comico, ma in realtà è drammatico che ancora oggi si preferisca tacere, per umano timore delle conseguenze, sui tanti fatti che vedono andare braccetto coppole e tonache, in frequentazioni che non dovrebbero esistere. E, se per molti servitori del Vaticano, vale il principio che il giudizio finale spetta a qualcuno più in alto di loro, è pur vero che non sarebbe male se si ricordassero che il giudicante è lo stesso datore di lavoro, e magari non gradisce e non sa come dirlo senza scatenare necessariamente un diluvio universale che spazzi via peccatori ed innocenti. Probabilmente questi devoti contano sulla penitenza come assoluzione temporanea, una sorta di tagliando spirituale in grado di riportare a zero il contamorti personale, qualche preghiera, un po di candele accese, qualche offerta pagata con i soldi delle loro attività criminose, e dispensati dal peccato si è liberi di dispensare dolore. Non credo esista un dogma specifico per questo tipo di situazioni, a parte quel comandamento, non uccidere, che probabilmente per qualcuno è sopravvalutato, ma forse qualcuno dovrebbe ricordare che, basandosi sulle parole tramandate dal cattolicesimo paolino, l’amore verso il prossimo è l’unica strada percorribile. Resta da comprendere come  fanno certi personaggi a pregare e chiedere intercessioni diviene quando hanno sulla memoria Don Pino Puglisi o Giuseppe Diana, il primo che cercava di non far entrare nel giro mafioso i bambini delle scuole, e l’altro ucciso dalla camorra per il suo impegno. Ed è ancora più inspiegabile come possano i criminali chiedere di portare sulle spalle il peso di simboli cristiani, quando poi cospargono di benzina i portoni delle chiese, come è accaduto a Don Giacomo Ribaudo, prete in costante lotta contro la mafia. I primi martiri dell’epoca moderna risalgono agli anni 20 del secolo scorso, i nomi di Don Stella e Don Caronia ormai sono dimenticati, ma furono due prelati in lotta contro capi mafiosi e latifondisti, in una Sicilia ancora lontana dall’appoggio agli angloamericani contro i nazisti, vittime occultate in nome della libertà. Libertà di avere paura di altre armi, di altra violenza, libertà di vedere i mafiosi baciare i politici democristiani,  o almeno così riportano le leggende. Ed è ancora più inconcepibile ricorrere all’appoggio della paura per trovare conforto elettorale. La croce spesso è stata impugnata dalle persone sbagliate, ed ancora è così. Certo, parliamo di criminali, quindi è probabile che si sentano autorizzati a percorrere questa strada contromano, magari imbracciando una lupara.