RIGOPIANO. CHIUSE LE INDAGINI SU UNA TRAGEDIA CHE SI POTEVA EVITARE

RIGOPIANO. CHIUSE LE INDAGINI SU UNA TRAGEDIA CHE SI POTEVA EVITARE

Nella primavera del 2017 i media mostrarono foto di turisti che, sorridenti ed orgogliosi, si facevano ritrarre in una radura circondata da boschi e montagne. E poi foto di allegri pic nic in compagnia, bambini che giocavano a calcio. Ma guardando bene quelle foto, si poteva notare del nastro bianco e rosso, a terra, staccato dai fermi in metallo apposti per interdire l’accesso alla zona. Ignorati, non rispettati da chi aveva l’esigenza di mostrare il luogo dove si trovava. Rigopiano. Molti ricorderanno con dispiacere e dolore quanto accadde il pomeriggio del 18 gennaio del 2017, e soprattutto quanto non venne fatto per impedirlo. Nel pomeriggio di quel giorno terribile alcune scosse di terremoto, in Abruzzo, avevano causato una valanga di neve e detriti, che, andando a confluire in un canalone, raggiunse un albergo, nella località Rigopiano, costruito su un deposito di detriti dovuti a valanghe preesistenti. Albergo che in realtà nasceva come rifugio, e non come Gran Sasso Resort.  Una massa compatta di materia che travolse l’hotel, sfondando tutto ciò che c’era sulla sua strada, pareti, tetti, spostando la struttura per circa dieci metri in avanti. Una forza della natura straordinaria e terrificante. Un dipendente dell’albergo, Giampiero Parete, telefonò al suo principale, avvisandolo, con tono spaventato ed angosciato che era caduto l’albergo, e da quel momento si cercò di raggiungere le autorità, per un aiuto. Ma una iniziale diffidenza, e forse superficialità, ritardarono la partenza dei soccorsi, che si mossero solamente verso le 20:0 di sera, e la zona non era di certo agevole, anzi, la neve ed il buio resero l’avvicinamento all’albergo molto difficoltoso. Ciò che i soccorritori ignoravano però, era il numero delle persone che si trovavano all’interno della struttura, e quando si trovarono davanti un inferno di ghiaccio e morte, molti di loro non riuscirono a credere a quanto videro. Perché in quel fabbricato, quando la valanga giunse improvvisa, c’erano 40 persone, tra cui 4 bambini. Gli altri erano ospiti adulti e personale di servizio, tutti presi alla sprovvista da qualcosa di inimmaginabile. Giampiero, l’ospite che era riuscito a chiamare solamente il suo datore di lavoro, stravolto da quanto aveva visto, era all’esterno della struttura al momento, vicino alla sua autovettura. Eppure la prefettura di Pescara, che ricevette le telefonate di richieste soccorso, una anche da Fabio Salzetta, un dipendente dell’albergo che si trovava all’esterno, non credette all’urgenza. In parte questo atteggiamento era dovuto ad una conversazione avuta con il direttore del Gran Sasso Resort, che si trovava altrove e non aveva idea di cosa era accaduto. I primi ad arrivare sul posto, alle 04:00 del mattino seguente,  furono gli uomini della Guardia di Finanza e del Corpo Nazionale del Soccorso Alpino. Giunsero usando gli sci, perché la strada piena di detriti, fango e tronchi d’albero, rendeva difficile il movimento della colonna di automezzi. Solo la coscienza del proprio dovere motivò quegli uomini, una coscienza che nel nostro paese troppo spesso è di gomma, o labile. I primi 6 sopravvissuti, fatta eccezione per colore che lanciarono l’allarme, vennero trovati alle 12:00 del 20 gennaio. Erano nel locale cucine, localizzati grazie alle indicazioni di Salzetta, che volle aiutare a tutti i costi, nonostante una notte passata dentro l’automobile, col freddo che bucava gli sportelli e la carrozzeria. Gli ultimi superstiti vennero estratti 58 ore dopo la valanga, ed in tutto furono 9 le persone tratte in salvo da dentro l’albergo divenuto una trappola mortale. Le vittime morirono per asfissia e per i traumi dovuti all’impatto della valanga, non per ipotermia, non per il freddo che comunque ti fa chiudere gli occhi e scivolare nel sonno. Asfissia, col fiato che si spezza attimo dopo attimo. Nel buio e nel freddo, intorno un muro compatto di silenzio. Ed il 26 novembre 2018, esattamente 22 mesi dopo, la Procura di Pescara ha chiuso l’inchiesta, individuando 24 indagati, tra cui il Prefetto di Pescara all’epoca dei fatti, il sindaco di Farandola, nella cui frazione si trova Rigopiano, ed il direttore dell’hotel, oltre a dirigenti regionali e della provincia. Per tutti loro l’accusa di omicidio colposo, poiché non fecero quanto in loro potere per evitare la strage, come ad esempio sgomberare l’albergo in seguito alle prime scosse sismiche. La giustizia degli uomini farà il suo corso, saranno comminate sentenze, ci saranno appelli, ricorsi. Ma dentro di loro tutte quelle persone raggiunte dagli avvisi della magistratura, e forse anche altri che sono scampati alle accuse, sapranno bene che una bara di ghiaccio si è chiusa su vittime innocenti per causa loro. Per la loro mancanza, per la loro noncuranza, per motivi che ancora oggi, agli occhi dei sopravvissuti, dei testimoni, di noi tutti, appaiono incomprensibili.