PUZZA DI OLIO DI RICINO.

Neanche una settimana fa si sono concluse le elezioni; elezioni democratiche, grazie a Dio svolte con regolarità e senza che nessuno potesse accampare pretese per presunti brogli elettorali. Elezioni democratiche che, nella loro regolarità, vanno accettate nelle risposte che hanno fornito. Antonio di Pietro fuori dalla politica: il giusto premio per l’ unico politico intellettualmente onesto della precedente legislatura, l’ unico che abbia sempre proposto emendamenti per la riduzione dei benefici e dei costi della politica e che abbia rinunciato ai rimborsi elettorali in favore dei terremotati. Rivoluzione Civile fuori dal parlamento, segno che un partito nuovo, di gente incensurata, con programmi “plausibili” e persone motivate a portarlo avanti non interessa all’ Italia, affezionata tanto, troppo alle solite vecchie (brutte) facce. E dentro tutto il vecchio, Scilipoti compreso. Circa il 34% degli italiani (non pochi, ovvero sette persone su venti) ha rivotato Mario Monti e Silvio Berlusconi, ovvero hanno ridato fiducia alla legislatura uscente: in considerazione del fatto che della condotta di Silvio Berlusconi al governo hanno detto male tutti e anche gli alleati politici si sono dovuti barcamenare tra imbarazzi e vergogne e che TUTTI hanno proclamato l’ iniquità del governo Monti, che a costi sociali altissimi ha tutelato solo gli interessi del potere finanziario, questo è il segno evidente che gli italiani sono un popolo votato a farsi male da soli. Ma il punto più importante è la vittoria del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, primo partito italiano alla camera e secondo al senato, l’ unico partito che, tra tutti i partiti che (nessuno escluso) hanno perso voti, ha guadagnato correndo da solo il 25% dei voti.Rivoluzione Civile out, Lista Monti e collegate con uno score al di sotto delle aspettative, PD che, seppur con buone percentuali, ha di fatto perso le elezioni avendo seminato per strada tutto il vantaggio che poteva fare valere e un PDL che, perdendo comunque voti, è riuscito a non estinguersi mantenendo comunque percentuali rilevanti, quindi Grillo è di fatto il vincitore, l’ unico che può cantare vittoria. Un partito che, in molti miei amici e colleghi hanno dichiarato di aver votato, pur non conoscendo il reale e completo programma politico, solo per non votare “gli altri”, a mio parere senza la dovuta consapevolezza sulle ideologie di chi si stava per votare. Premesso che ho sempre guardato con estrema simpatia Beppe Grillo nelle sue crociate contro le banche e le piccole grandi truffe agli italiani e che al V-day del 2007 tenutosi in Piazza Maggiore a Bologna io prestavo servizio come volontario, i suoi primi programmi (divieto di eleggibilità per condannati, limite di due legislature di eleggibilità in parlamento e riforma elettorale con voto di preferenza anche alle elezioni politiche), ho iniziato a dubitare quando, scendendo in politica, i programmi si sono ampliati e ho avuto modo di avere qualche dubbio. Premesso che la differenza tra populismo e popolare è molto semplice: popolare è una politica che rispetta i diritti del popolo, populismo è il proclamare belle parole solo per blandire la fiducia della gente. Popolare è tagliare le pensioni vergognose, quelle oltre i 100’000 euro, spesso conseguite a seguito di doppi e tripli incarichi di governo o come dirigente statale, ripartendo tali risorse risparmiate in favore delle pensioni minime al di sotto della soglia di sopravvivenza.Populismo è voler introdurre il reddito minimo garantito (cosa giustissima, visto che siamo il solo paese che si millanta come civile che abbandona i propri cittadini in stato di indigenza) tagliando TUTTE le pensioni, senza distinzione, mossa che può entusiasmare tanta gente ma rischia di innescare una pericolosa guerra civile di disoccupati contro pensionati. Chi ha studiato un po’ di diritto e di economia sa che per poter prendere certi provvedimenti occorrono coperture finanziarie adeguate con la certezza di non creare altri buchi e dissesti, creando provvedimenti di efficacia stabile che non creino disastri nell’ economia del paese. Motivo per cui, a fronte di certi proclami, esercitando la libertà di pensiero ancora riconosciutami da quel poco di democrazia che è rimasta in Italia, mi sono sentito di dissentire ritenendoli facili proclami, belli per fare presa sulla gente ma senza reale applicabilità. E poi, vedendo gli sviluppi, ho ritenuto poco democratico la gestione del partito. Mi sarebbe piaciuto partecipare a qualche riunione, per sentire i programmi veri del partito ed eventualmente partecipare con qualche proposta, qualche domanda, visto che, non potendo più essere comunista per mancanza di partito, cerco sempre nuove occasioni di democrazia cui poter aderire. E invece mi ritrovo di fronte ad un partito monocratico, granitico, con margini di manovra, decisione e confronto interno degni del Partito Comunista Rumeno negli anni d’ oro di Nicolae Ceausescu. Un capo solo, padrone del marchio depositato del partito (i partiti dovrebbero essere manifestazione del pensiero della gente, non proprietà dei singoli), che decide unilateralmente il programma, lo statuto interno, le regole per candidarsi, la comunicazione interna (o meglio la appalta ad una struttura esterna, la Casaleggio ed Associati), che unilateralmente decide, manco fosse una setta religiosa o massonica, chi ammettere e chi espellere, come successo con Giovanni Favia e Federica Salsi. Che decide chi gestisce i rimborsi elettorali, che è capo per natura divina imposta (come i monarchi di una volta) non per elezione e acclamazione della gente, ribadendo però che il movimento è democrazia dal basso, dove uno vale uno, ed evidentemente, alla luce dei fatti, gli unici che valgono qualcosa ai fini del computo sono Giuseppe Piero Grillo, padre padrone del partito e Gianroberto Casaleggio, il suo Rasputin, ovvero quello che scrive e decide programmi, proclami e informazione da fornire all’ esterno. Che esprime il suo pensiero non tramite confronto dialettico, ma bensì propagandolo tramite il suo blog, unico organo di informazione ammesso dal Partito: praticamente la versione tecnologica del tazebao, utilizzato dal Partito Comunista Cinese di Mao-Tse Tung per dire al popolo tassativamente cosa doveva pensare. E che per tutta la campagna elettorale è fuggito dalle televisioni in favore dei comizi in piazza: sarà anche vero che la televisione è spesso un luogo “inquinato” e gestito strumentalmente dai partiti politici che ne tirano i fili, ma è facile andare in piazza con il discorso bello e scritto proclamando tutto quello che il popolo vuole sentirsi dire, molto meno confrontarsi con altre persone che pongono domande per i dubbi che hanno e a cui è doveroso fornire risposte e spiegazioni. Un partito che si è proclamato “ne di destra ne di sinistra” e che ha ammesso, nel rispetto dei requisiti imposti dal Capo, anche gente proveniente dall’ ex estrema destra militante, come rilevato da alcuni giornali. Ho sempre ribadito la mia fiducia in Rivoluzione Civile, libera adesione nel rispetto della democrazia, e tutte le mie perplessità nei confronti di certi proclami, che non volevano sminuire il valore del partito ne dei suoi partecipanti ma che, democraticamente, esprimevano perplessità. Come durante le elezioni gli approcci dialettici su Facebook e sui blog da parte dei grillini erano poco dialettici, limitandosi a offendere chi la pensava diversamente da loro senza fornire spiegazioni ne documentare i loro programmi che potevano aver scatenato dubbi, il primo risultato delle elezioni si è già fatto sentire: non è stato ancora costituito un governo, sono un movimento nuovo che deve dimostrare ancora tutta la sua efficacia e il suo valore, ma siamo già alle minacce personali a chi non la pensa come loro. Da ben tre militanti grillini, sono stato oggetto di aggressioni verbali, con appunti e minacce come un bel “Cucchi, nome per altro indimenticabile. Ne riparleremo…” minacciandomi di farmi fare la fine del povero Stefano Cucchi, mio semiomonimo ma con cui non sono assolutamente parente. Era un po’ che non sentivo volare minacce del genere, l’ ultima volta fu da parte di un militante esagitato di Forza Nuova. E in cuor mio vorrei sbagliarmi, ma mi ricordo di un ex socialista (a quei tempi non era stato ancora fondato il Partito Comunista Italiano per cui poter simpatizzare) che, anche lui a Milano fondò la base del suo partito (i Fasci di Combattimento), che costituì il partito solo dopo essere divenuto primo ministro, avendo assunto il potere proponendosi come leader di un movimento popolare, ovvero senza struttura e senza uno statuto. Fondatore di un partito monocratico in cui solo lui aveva voce in capitolo e in cui il “verbo”, il pensiero, ciò in cui credere veniva deciso, scritto e divulgato da una struttura esterna specifica (il MinCulPop, o Ministero della Cultura Popolare, che tramite le sue note interne, denominate “veline”, diceva agli italiani e ai membri del partito cosa dover pensare, senza possibilità di valutazione o opinione propria). E con miliziani (o membri del movimento) che praticavano lo squadrismo, prima ideologico e poi conseguito il giusto potere anche pratico, a base di sfollagente ed olio di ricino. Una paura forse frutto della mia mente malata, ma per cui il giornalista e politologo inglese Nicholas Farrel, sulle pagine di “The Spectator” ha sentito lo stesso odore di bruciato. Vorrei sbagliarmi: in queste elezioni, e leggendo quanto scritto su Alganews si può verificare come avevo previsto il tonfo di Bersani e il ritorno di un Berlusconi resuscitato; il mio terzo pensiero, la mia terza fonte di ansia è il temere, in tempi prossimi, una nuova marcia su Roma di qualcosa che possa essere la versione italiana del partito greco “Alba Dorata”.