STORIA VERA DI UN DISOCCUPATO IN CERCA DI LAVORO.

STORIA VERA DI UN DISOCCUPATO IN CERCA DI LAVORO.

La disoccupazione stravolge la vita, stravolge tutto. Essere bolognesi una volta era garanzia di occupazione facile e stabile, in una città dove bastava avere voglia di lavorare, non essere  troppo “choosy” ed era impossibile restare disoccupati. Un lavoro lo si trovava sempre, e la famiglia tipica aveva due stipendi che entravano in casa, tutti i mesi; le famiglie originarie fuori provincia, se non avevano i parenti a Bologna avevano uno stipendio e mezzo, se la moglie lavorava part-time per accudire i figli. Giunge la crisi, ed è già una fortuna se in famiglia resta uno stipendio intero, una cassa integrazione pagata o almeno un reddito certo su cui contare. Crescono (non ne conosco poche) le famiglie di disoccupati, dove l’ unico reddito che sfama la famiglia è l’ indennità di disoccupazione (800/900 euro) percepita per sei mesi dalla data del licenziamento. Poi basta, gente abbandonata a se stessa, gente che, esauriti i pochi risparmi messi da parte negli anni in cui si lavorava, resta solo l’ indigenza. E da bravo bolognese, cittadino di quella che una volta era una delle città “che dava lavoro” (ho tanti amici che, provenendo dal Sud hanno trovato lavoro e messo su famiglia a Bologna) mi ritrovo in un periodo di crisi ad andare ad elemosinare lavoro altrove, se mai ce ne fosse. Colloqui a Ravenna, colloqui a Modena. Sperando. Perchè anche una vita da pendolare che deve fare 100/150 chilometri al giorno per andare a lavorare basta, purchè si possa mantenere la famiglia. Colloqui che sono delle vere macellerie messicane, dove cercano possibilmente laureati con esperienza professionale con meno di trent’ anni (per poterli assumere come apprendisti), maschi (così da non rischiare gravidanze). Oppure donne sposate con più di 45 anni: non sono più a “rischio maternità”, come dicono barbaramente certi datori di lavoro e se il loro è il secondo stipendio in famiglia (col marito che lavora) è più facile offrire un lavoro a tempo parziale: lavoro a tempo parziale per molte più ore effettive di quelle contrattualmente previste e retribuite, ma essendo il “secondo” stipendio di famiglia non avranno la grinta di chiedere gli straordinari pagati. Eh, sì. Gli straordinari, il vero specchio della crisi: una volta le aziende oneste li pagavano in busta, quelle meno oneste li pagavano “in nero” (evadendo i contributi), pochi quelli che li imponevano e non li pagavano, perchè quando il mondo del lavoro era ancora un mondo civile, si trattava sulla mezz’ ora di straordinario retribuita in più o in meno ma nessuno chiedeva del volontariato ai propri dipendenti, ovvero venire a lavorare non retribuiti. Ora invece gli straordinari vengono chiesti ma non vengono più pagati: sei sempre te che “questo lavoro si finisce, se vuoi, nelle otto ore”, anche se ti chiedono anche di venire a lavorare di sabato; ed avere un lavoro oggi è già una fortuna, figurarsi se totalmente retribuito come previsto dalla legge. Avere 45 anni ed essere padre di famiglia ora è più una disgrazia che altro: essendo lo stipendio che mantiene la famiglia ti impone ilnon poter derogare a nulla, potendo accettare anche lo stipendio minimo (1040 euro circa mensile) del più basso livello impiegatizio ma non rapporti a tempo parziale, dove se lavorassi 20 ore la settimana porterei a casa non più di 600 euro di stipendio, insufficienti al mantenimento della famiglia. E non conta nemmeno avere un curriculum corposo e completo, perchè ormai la professionalità è diventato un lusso inutile: in un mondo professionale dove i clienti (se pagano) lo fanno sempre in ritardo cronico, nessuno si lamenta degli errori o della poca qualità del lavoro, perchè farlo ti espone alle richieste del tuo fornitore di farsi pagare le fatture arretrate. E cambiare commercialista, cambiare consulente del lavoro costa: prima il saldo delle fatture arretrate al vecchio poi pagare al nuovo un compenso “una tantum” anche di 1000/1500 euro per le spese di voltura e presa in carico delle pratiche. Per cui sul mercato delle professioni è diventata conveniente la poca professionalità pagata poco piuttosto che la competenza tecnica pagata anche al minimo contrattuale ma pagata per intero (contributi compresi). Passata la festa, gabbato lo santo dicono i marchigiani: e passata la Pasqua, il martedì sono ad un colloquio di lavoro a Reggio Emilia. Quasi 180 chilometri andata e ritorno per un colloquio per un lavoro da modesto impiegato per una sostituzione di maternità, un contratto a tempo determinato che quasi certamente si concluderà col rientro al lavoro dell’ impiegata “impiegata” e i ritorno alla disoccupazione del tappabuchi di turno (il sottoscritto, se verrò assunto). Però, anche solo qualche mese di stipendio anche se guadagnato scomodamente è ciò che potrà far sopravvivere la mia famiglia. Agenzia di ricerca e selezione del personale  (ma soprattutto di lavoro interinale) a Reggio Emilia: un po’ per colpa della mia puntualità (dovendo percorrere 90 chilometri in autostrada arrivo al colloquio con 40 minuti di anticipo), un po’ per colpa della ressa (la sala di attesa era fitta di una quindicina di candidati per varie ricerche di personali aperte), un po’ per colpa del personale dell’ agenzia (fare il kapo nazista che decide chi deve lavorare e chi deve tornare a fare il disoccupato da un certo senso di onnipotenza, almeno in questi periodi), finisco con l’ attendere più di un ora. Praticamente tutti extracomunitari, noto solo un altro italiano, e non poteva essere altrimenti: brizzolato e probabilmente mio coetaneo, anche lui con la fede al dito e quindi sposato, anche lui vestito sobriamente in giacca e cravatta (non troppo cerimonioso per non sembrare quello che deve PER FORZA colpire, giusto quel tanto per fare bella impressione al colloquio) e ci scambiamo un sorriso di incoraggiamento, quasi un “in bocca al lupo”. Distribuiscono subito le schede che i candidati debbono compilare e al mio “amico” tocca la famosa biro che non funziona: visto che da bravo ragioniere dalle antiche abitudini odio le penne che non scrivono, mi ero portato da casa “le mie” che certamente erano efficienti, e quindi gliene presto una. Aveva dei dubbi sulla compilazione (le caselle “categorie speciali” ed alcuni decreti legge citati) e visto che gli impiegati dell’ agenzia erano tutti assediati dagli extracomunitari che non capivano il questionario, mi offro di chiarirgli i dubbi, visto che la legislazione del lavoro è stato il mio pane e la mia fonte di reddito per ben venticinque anni. Ci parliamo, e nasce immediatamente simpatia: tutti e due emiliani, tutti e due con un marcato accento non di Reggio dell’ Emilia: “Da dove vieni? Io da Piacenza, e tu?” dice. Da Bologna, rispondo. Cominciamo a scambiare quattro chiacchiere, tanto per fare passare il tempo. Più giovane di me solo di quattro anni, sposato con due bambini (io ho una figlia di 5 mesi). Anche lui ragioniere di lungo corso (io da sempre nell’ amministrazione e nella gestione del personale, lui invece contabile specializzato in operazioni IVA e fatturazioni con l’ estero); anche lui uscito malamente dal posto di lavoro in un’ azienda che, come quella in cui lavoravo, ha imparato e messo a frutto gli insegnamenti di Sergio Marchionne ed applicato bene tutte le scappatoie offerte dalla riforma Fornero, anche lui con moglie disoccupata. Io disoccupato, lui invece lavora, anche se come passacarte presso un commercialista: assunto per lavorare solo la mattina anche se, per mantenere i tempi dei grossi carichi di lavoro assegnati, le ore lavorate sono sempre di più di quelle che dovrebbero essere. Straordinari non pagati, ogni due o tre mesi cinquanta o cento euro di gratifica “fuori busta”, non per il lavoro extra, ma perchè “noi siamo comprensivi con quelli che hanno famiglia”: una gratifica comunque molto più bassa di quello che, per contratto, dovrebbe essere lo straordinario retribuito. Io, fortunato, abito in casa di proprietà; lui ha un pesante mutuo da pagare, stipulato quando ancora in famiglia entravano due stipendi interi e quando ai tempi dell’ “era Prodi” era possibile fare sogni e piani per il futuro senza dovere fare i kamikaze. Io con una bimba piccola di cinque mesi che fortunatamente viene allattata dalla mamma e che, a parte i pannolini, non richiede spese extra gravose, lui con due figli di sette e dieci anni, che vanno a scuola pagando anche la retta della refezione e che impongono spese molto più alte. Io, grazie a Dio, riesco a sopravvivere e a non richiedere servizi al comune (scuolabus, asilo nido o refezione scolastiche), lui invece sì: e avendo appartamento in proprietà, seppur gravato da un pesante mutuo e uno stipendio seppur pietoso, ha un ISEE (l’ indicatore della situazione economica equivalente, il parametro che viene utilizzato per fare pagare i servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione) tremendamente svantaggioso che impone rette e costi altissimi. Ma ce la fai? Io, disoccupato tre mesi l’ anno scorso, lavorato quattro mesi a fine 2012 e poi da Natale di nuovo disoccupato tiro avanti con i pochi risparmi sopravvissuti alla ristrutturazione di casa ma a tutt’ oggi sono riuscito a non indebitarmi con nessuno, avendo ridotto qualche optional, qualche comodità ma senza avere intaccato di troppo un tenore di vita dignitoso anche se privo di lussi. Lui si incupisce: risparmi finiti, il mutuo di casa viene pagato solo con l’ aiuto delle famiglie dei genitori suoi e di sua moglie che, essendo famiglie di pensionati, collaborano anche al mantenimento dei nipotini anche se ormai anche loro hanno finito tutti i risparmi e quel poco che avevano da parte. Deve cambiare lavoro anche perchè, oltre che essere insufficiente al mantenimento, è insufficiente per poter chiedere un finanziamento in banca, visto che una famiglia di quattro persone con un solo stipendio e pure a tempo parziale non offre garanzie adeguate per ricevere un prestito. Resto perplesso: una persona che mi sembrava così integerrima, così precisa, cosa se ne fa di un prestito in questo periodo? Per le ferie? Per cambiare macchina? Impossibile pensare a spese extra, soprattutto in periodi come quello attuale, in cui già la sopravvivenza è un lusso per pochi. Mi spiega che vorrebbe richiedere un finanziamento da diecimila euro per poter affrontare, fino alla fine dell’ anno, le spese per la famiglia (mutuo, mantenimento dei figli) senza dover strozzare le proprie famiglie che ormai sono a rischio di indebitamento: “speriamo che, entro la fine dell’ anno, qualcosa si muova per trovare un lavoro pagato a 40 ore la settimana”. Mi ritengo fortunato: ho altri due o tre mesi di vita normale senza dover meditare scelte dure o indebitarmi. Curioso, chiedo per quale inserzione fosse a colloquio: grazie a Dio non la mia, visto che era per un posto di lavoro come impiegato amministrativo per un’ azienda di Reggio Emilia quasi al confine con Modena: anche per lui pendolarismo hard core,  ma mi riesce sempre più simpatico, visto che non sarà sicuramente lui a rubarmi il lavoro. Si chiacchiera del maltempo e viene chiamato a colloquio. lo saluto e gli faccio un cenno di buona fortuna, visto che anche lui ne ha veramente bisogno. Dopo una decina di minuti vengo chiamato io: colloquio un po’ surreale, visto che dieci anni fa mi pavoneggiavo del mio super curriculum mentre ora mi sto svendendo al minimo dello stipendio per un lavoro da precario. “L’ impiegata andrà in maternità fra un mese per cui richiediamo una disponibilità immediata, entro quindici giorni le faremo sapere”. Le faremmo sapere: tanti colloqui fatti, solo un’ agenzia ha mandato una mail per dire “causa richieste dell’ azienda ci siamo orientati su profili professionali diversi dal suo”. E qualcos’ altro, tanto per essere cortesi. Una ventina di euro spesi tanto per passarsi il tempo in una mattinata piovosa: otto euro e sessanta centesimi di pedaggi autostradali, il resto il GPL consumato in 180 chilometri di strada percorsa. E per arricchirsi di nuove certezze: che malgrado la mia sia una situazione pessima, non è sicuramente una delle peggiori che si trovano in giro. E che questa crisi è diventata veramente spietata: se prima il problema era la disoccupazione giovanile che precludeva il futuro alle nuove generazioni costringendole ad essere mantenute dalle loro famiglie, ora la crisi sta colpendo e impoverendo le famiglie stesse, l’ ultimo degli ammortizzatori sociali rimasti. Spesi i propri risparmi e quelli dei propri genitori, non solo non c’ è futuro ma forse non ci sarà nemmeno un presente. Sentendo ex colleghi (mai che ci fossero posti di lavoro vacanti in giro) mi è stato riferito che, dopo Mario Monti che sosteneva che il peggio della crisi era già passato, una ricerca della Confartigianato nazionale stimava invece che, causa il calo dell’ occupazione e conseguentemente la contrazione del mercato interno, i peggiori effetti di questa recessione potranno sentirsi da fine 2013 a metà 2014. Come dire, se i nostri genitori sognavano un futuro migliore, per noi il futuro è forse la peggiore delle nostre angosce.