LA MORTE DI UGO GREGORETTI:REGISTA, GIORNALISTA, UMORISTA

Impagabile Ugo Gregoretti. A chi gli chiedeva perché, pur essendo diventato presidente dell’Anac, l’associazione storica degli autori cinematografici, avesse girato così pochi film, rispondeva alla sua maniera: “C’è un motivo. Per molti ero un miserabile rospo che usciva dal pantano maleodorante della disprezzatissima tv, osando fare un salto nell’Olimpo del cinema”.Gregoretti se n’è andato a 88 anni, essendo nato a Roma il 28 settembre 1930. Da tempo s’era ritirato nella sua casa a un passo dal Pantheon, nel cuore della Capitale, uscendo ormai di rado. Sapeva scherzare su tutto, con quella voce mite e calma, sorniona a volte, con quel suo italiano insolito ma suggestivo, quasi che la canzonatura partisse da sé stesso prima di colpire gli altri. Infatti confessava: “È una vita che sfotto il prossimo e nessuno se l’è presa. Ho un antidoto che mi impedisce di offendere: rispetto sempre chi ho davanti”.Vedrete che “arguto e ironico” saranno gli aggettivi più usati nei ricordi giornalistici, e certo l’uomo tale era, nell’esercizio delle diverse anime professionali: regista di cinema, teatro, tv e lirica, giornalista, drammaturgo, attore, umorista e altre cose ancora.Magari pochi ricordano i suoi film, che appunto furono rari e di scarso successo; ma di sicuro chi ha superato i 60 non avrà dimenticato la sua fantastica versione televisiva del “Circolo Pickwick”, il romanzo di Charles Dickens, sei puntate girate nel lontano 1967. Con piglio divertito/allusivo, nello stile delle sue “false inchieste”, Gregoretti appariva in scena all’inizio di ogni puntata, in abiti moderni, come un giornalista che seguisse la vicenda, riassumendo e commentando i fatti ottocenteschi, intervistando i protagonisti, con tanto di microfono.Del resto proprio alla Rai aveva iniziato la sua carriera, nel 1953, presto affermandosi come autore di servizi televisivi in bilico tra satira e costume per trasmissioni come “Semaforo”, “Controfagotto”, più tardi “Sottotraccia”. Un po’ come il Nanni Loy di “Specchio segreto”, gli piaceva stuzzicare e dileggiare, secondo l’aria del tempo, raccontando le feste delle matricole o l’abbigliamento giovanile di una certa Roma bene, ma senza sarcasmo, con dolce irriverenza, alla ricerca del buffo nascosto nelle più diverse composizioni sociali.Ha scritto di lui la Treccani: “La presentazione bozzettistica di una grande varietà di situazioni e atteggiamenti, come l’arretratezza di costumi ancora presente in alcuni paesi siciliani, l’indolenza della borghesia agiata di Napoli e delle regioni del Nord, non impedì a Gregoretti di gettare uno sguardo incuriosito su alcune realtà in via di evoluzione, quali il mutamento del ruolo femminile nell’ambito della sessualità o i fermenti sviluppatisi tra i giovani operai milanesi”. In effetti è così. La denuncia dei vizi italiani, in Gregoretti, era temperata da una fervida curiosità antropologica, e anche la militanza nel Pci, a ben vedere, sembrava a volte lasciare spazio a una smagata riflessione sulla rigidità dell’ideologia, sui limiti dell’appartenenza politica. Non a caso si definiva “un anarchico tranquillo”.Non si può dire che il suo talento, negli anni, non sia stato riconosciuto. Cavaliere di gran croce dell’Ordine al merito e Grande ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana, Gregoretti vinse il Prix Italia con il documentario “La Sicilia del Gattopardo” e ricevette con piacere il Nastro d’argento alla carriera. Ma certo il cinema non gli riservò le soddisfazioni ricevute altrove.Nel 1962 aveva esordito sul grande schermo con “I nuovi angeli” realizzato con attori non professionisti; velocemente a seguire erano venuti la satira fantascientifica “Omicron”, l’episodio “Il pollo ruspante” (con Ugo Tognazzi) inserito nel film collettivo “RO.GO.PA.G.”, il documentario “Apollon, una fabbrica occupata” e il dissacrante “Le belle famiglie”. Magari andrebbero rivisti oggi, con uno sguardo critico diverso, e chissà che non rivelino una vitalità inattesa, oltre mezzo secolo dopo, al pari dei suoi lavori televisivi “Caroselli” inclusi.Disse in un’intervista a Simonetta Robiony: “Un critico cinematografico ha detto di me che ho disperso il mio talento in mille rivoli, come se avessi voluto solo far cinema. Falso, la mia fortuna è che mi piace saltabeccare qua e là, pur di lavorare sempre”.