IL LAGO ARAL APPARE IMPROVVISO IN TUTTO IL SUO MISTERO
Aral del mistero, appare improvviso, quasi fosse una pelle lucida del deserto, sulla sinistra, è un lampo, un’ombra di verde che scolora in grigio, poi più niente. Miraggio. No, ecco, più avanti, oltre la collina spalancata dalla corsa della moto c’è un fremito di acqua sottile, tenue, azzurrina, con sponde che diventano acqua anche loro o acqua che diventa terra, liscia, una squama sul mare. E intorno a me c’è solo sabbia e sterpi, e c’è questa strada lunga e abbrustolita che da Bukhara mi porta verso Khiva. Bere bere bere, col motore della moto tenuto sempre a 3700 giri, 95 km all’ora, a volte 100, non di più, prudente. Perché il rischio può essere quell’asino bianco e solitario a bordo strada, o quel cambio di colore dell’asfalto, o una macchina che si immette da una pista sabbiosa, o l’inganno del sole. Ma si va, si va, si va. E si pensa anche a cosa vuol dire la paura, il pregiudizio nutrito su noi stessi, sulle nostre capacità, sulla possibilità o meno di vincere una sfida. Si pensa al caldo vissuto come inferno, si pensa agli uomini vissuti come altri, ostili. Si pensa negativo, prima di partire. Prima, sempre prima, appunto, come un pregiudizio. Perché poi se si parte ti accorgi che si tratta soltanto di vivere con gli altri, più o meno bene, tutti quanti insieme, dalla donna di Bukhara che si lamenta di come le stagioni non siano più quelle di una volta alla turista che mi fa le fotografie. Sono tipico? No, sono uno che cammina, insieme agli altri, sulla stessa strada. Ora sono a Khiva….
