CAMILLERI PIACEVA A MIA MADRE

Camilleri piaceva a mia madre, a casa mia a quei tempi non si leggeva molto, non leggeva lei, mio padre leggeva tutto ma non narrativa (dove tutto era: quotidiani, settimanali, mensili, libri sulla sagra della nocciola nel ‘600, libri di medicina, bugiardini, bollettini parrocchiali, liste della spesa, resoconti finanziari, ma guai un romanzo), io divoravo, al solito, quotidiani – onnivoro vorace lo divenni poi – così quando mia madre s’appassiona a La forma dell’acqua io le dico:– Ma non si capisce niente!E lei:– Non è difficile. Le parole alla fine sono dieci o dodici, capite quelle si capisce tutto. Taliare significa guardare. Spiare chiedere. Nico piccolo. Ti fai un minidizionario e hai risolto. Così m’appassionai anch’io, m’immergevo nel sicitaliano di Camilleri con la baldanza del bambino che deve raccontare che ha scoperto una cosa fondamentale – quand’anche gli altri la conoscano da secoli. Mi confrontavo con mia madre, e questo era importante: Camilleri divenne un terreno di dialogo, una faccenda in comune – a quell’età, per le cose nostre di famiglia, Camilleri rappresentò un avvicinamento, un momento condiviso, in cui riuscivamo a essere finalmente noi stessi. Rimase. Quand’era poi di malumore, mia madre, negli anni dopo, io proponevo “un Montalbano” come momento necessariamente positivo, di benessere, come antidoto al male, e questo era: un momento in cui mia madre tornava a sorridere, quando usciva “un Montalbano” nuovo e io glielo prendevo – magari alle 19.01, a libreria chiusa, infondendomi di scuse con il libraio, che mi facesse il favore per l’imprescindibile Camilleri appena uscito, come una medicina, perché era una medicina – questo era il frutto del lavoro di Andrea Camilleri il Maestro. Io non sono più riuscito a leggerlo, dopo sei romanzi, mi ricordava troppo il riscoperto amore di mia madre per i libri. Oggi piango. Perché i grandi fanno questo, ti entrano dentro – letteralmente: in casa e in te – e ti cambiano, in silenzio, la vita.