IL MIO VIAGGIO IN MOTO A MASHAD LA SECONDA CITTA’ DELL’IRAN

IL MIO VIAGGIO IN MOTO A MASHAD LA SECONDA CITTA’ DELL’IRAN

Ci mancava Agatha Christie, prima o.poi dovevo.incontrarla. L’ho trovata seduta nella lobby dell’Hotel Pars, qui a Mashad. Stava leggendo in una vecchia poltrona di velluto beige, un tempo forse oro, il cui supposto splendore era comunque stato abraso dalla polvere della vicina, oggi denominata, Khomeini St. Quando il proprietario mi ha spalancato la porta che dà sulla strada e ha messo due mattoni per addolcire lo scalino, Agatha già era rimasta perplessa. Quando poi con una accelerata proprio in salotto è entrata la Pody con me sopra… Beh, mi ha lanciato uno sguardo di stizzita e decisa riprovazione. Mister Hassan d’altra parte non aveva altro luogo che il salotto per farmi parcheggiare la motocicletta. Poi mi ha introdotto al suo stupendo hotel. Per me era già stato amore a prima vista.Stamane ero partito da Gonabad di buona ora prendendo la via per Torbat-e Heydaryeh e trovandomi subito in mezzo a una tempesta di sabbia. Il vento mi prendeva dal lato destro e mi faceva sbandare in mezzo alla carreggiata. Tutto era polveroso. Una fatica. La situazione aumentava anche i rischi derivati dal comportamento dei curiosi, quelli che chiamo i guardoni da strada. Sono gli automobilisti che ti vogliono vedere, che si fanno sorpassare, poi accelerano per restarti alle calcagna e non te li togli più dagli specchietti, fino a che tu non rallenti per farti superare di nuovo e loro così possono guardare anche l’altro lato. Però non ti sorpassano subito, perché vogliono farti le foto, e tu stai lì, col vento che ti sballotta, le buche, la sabbia e i guardoni. E non sai più a chi dare retta.Poi, in.un punto qualsiasi del pianoro deserto che stavo percorrendo, il vento è finito di botto, ho potuto portare la velocità a 100/110, ed è cambiata anche l’aria, più fresca, più limpida, e ho sentito la moto felice. Davvero, era contenta. L’ho carezzata a lungo, le ho dato pacche di qua e di là come si fa con un vecchio cavallo. E ho capito il perché del suo sbalzo di umore: aveva visto li avanti, appena sfumate dal sole rovente, le alture di confine con l’Afghanistan, ed era contenta di essere lì.Vivere in campagna ha fatto nascere in me una strana percezione delle cose. Ad esempio se c’è un frutto su un albero io ho il dovere di onorare il suo dono, di coglierlo, di dargli valore: ci ha messo un anno per farlo. E già so che al mio ritorno avrò i rimproveri del ciliegio, del noce, del melo, del susino soprattutto per non dire dei pomodori. E così, avere una moto di 1000 cc. e non farla vivere per me è come offenderla. “Born to run”, e io l’ho fatta andare davvero per le strade del mondo.Infine Mashad. La temevo. È la seconda città dell’Iran, ed è la “holy town” degli sciiti, santa, andate voi a vedere perché. Temevo le sue dimensioni, il faticoso ingresso per raggiungere il centro, la ricerca del giusto hotel. Ma per trivare la strada mi ha aiutato Osmand, fantastico. Quanto all’hotel… Quando ho visto il Pars, di mattoni, cadente, con i comignoli storti, e i vecchi infissi di legno, sì è stato amore. Non lo avrei scambiato con l’Hilton. Vecchio fuori, vecchio dentro, custode di mille e mille storie, di epoche vicine e lontane, quando qui si arrivava come al termine di una spedizione sahariana, seguendo le carovane che portavano seta e profumi. Magari prendendo al volo l’ultima corsa di un Orient Express…