PERNIGOTTI E IL MODELLO TERMINI IMERESE
        Ieri c’è stata l’ultima sceneggiata (solo in ordine cronologico) della lunga serie che punteggia l’attività al ministero dello Sviluppo economico del vicepremierLuigi Di Maio. L’annuncio del “salvataggio” delle maestranze dell’impiantoPernigottidi Novi Ligure. Poco meno di cento persone (pari a quelle che perdono silenziosamente il posto nelle piccole e micro imprese in un pomeriggio italiano), ma unbattagepolitico-giornalistico da grandi occasioni. Ottima anche la regia dell’happy end, con distribuzione di cioccolatini da parte del vicepremier. E ora? Grattiamo sotto la superficie di questo successo. Da quanto si legge sui giornali, pare che siamo in presenza di uno degli innumerevoli pre-accordi di questo paese, patria di penultimatum. I dettagli seguiranno. Se i resoconti sono corretti, abbiamo due acquirenti, la cooperativa sociale torineseSpes(un nome, un programma), ed il gruppo che fa capo all’imprenditore rimineseGiordano Emendatori, attivo nella produzione di preparati base per gelati e pasticceria. Da quello che leggiamo, le due realtà si divideranno i rami di azienda, cioccolato e pralineria i torinesi, gelati i romagnoli. Bene, no? Si, se non vi fossero alcuni dubbi per così dire “strutturali”. La linea del ministero è stata quella di preservare la continuità del sito produttivo, come sappiamo. I turchi diToksöz, proprietari del marchioPernigotti 1860, e che già producono in Turchia alcune linee di prodotti tra cui le creme spalmabili, non avevano ritenuto di investire nell’ammodernamento dell’impianto, ritenendo che la esternalizzazione della produzione fosse la scelta più economica. Cercavano quindi dei terzisti,absit iniuria verbis. Dopo alcune robuste sceneggiate di Di Maio, inclusa minaccia di ancorare il marchio al territorio, facendo morire il primo ed il secondo, siamo giunti all’apparente epilogo. I turchi hanno trovato i loro terzisti, come da loro programma, e si sono tenuti il marchio, come da loro programma, che mai è stato minacciato da alcunché e chicchessia, al netto delle sopracitate sceneggiate. E ora? Siamo al lieto fine?Lo credevo anch’io, ieri pomeriggio, ma oggi leggo altro. Ad esempio, oggi sula Stampaleggoquesto: Quindi, riepilogando: le due parti potenziali acquirenti vogliono soldi pubblici per farlo.Con alta probabilità perché la proprietà turca ha deciso, tempo addietro, che sarebbe uscita dalla produzione diretta per affidarsi a terzisti. Ma quanti soldi pubblici? E solo per ammodernare gli impianti oaltro? E come si fa ad avere in un unico sito produttivo ed in un’unica società due proprietà, anche se su linee di produzione differenti? Se non ci fossero sovrapposizioni tecniche la cosa potrebbe anche funzionare, con condivisione di costi comuni. E magari, pensate, qualcuno pensa di fare di Novi Ligure l’hub italiano delle produzioni alimentari per conto terzi. Corriamo troppo? Ma basterà? E ricordate che, oggi, non sappiamo assolutamente nulla sulquantumdi soldi pubblici di questo salvataggio. Nulla, in altri termini, ci garantisce che non siamo di fronte a produzioni sussidiate con denaro dei contribuenti, che altrimenti non si reggerebbero in piedi. Viene da dire che a fare salvataggi a questo modo sono capaci tutti. Visto il consolidatomodus operandidi Di Maio al Mise, fatto di tignosaammuinae slalom anguillesco tra i tavoli di crisi, con larga elargizione di cassa integrazione straordinaria (che contribuisce sempre più al “miracolo”dell’occupazione italiana in “crescita”), il sospetto che stiamo ripetendolo schema di Termini Imereseè più che lecito. Per questo, al momento, sospendo il giudizio per mancanza di sufficienti informazioni. A differenza di altri, che saranno certamente assai più informati di me.
