SI SPEGNE L’ECONOMIA USA MENTRE TRUMP LITIGA COL CONGRESSO

Significa letteralmente “spegnimento” il termine “shutdown” sulla bocca di mezzo mondo, da quando Donald Trump è entrato in un contrasto senza apparente soluzione col Congresso sui contenuti della legge di bilancio. Lui pretende 5,7 miliardi per la costruzione di un muro che impedisca l’accesso agli Usa dei migranti di provenienza messicana. I parlamentari, a maggioranza democratica, sono disposti a prevedere una spesa non superiore al miliardo e 300mila giudicando la proposta di Donald, inefficace ed eccessiva, ancor prima che rivolta a fini disumani. Paralisi su tutta la linea, nel paese a stelle e a striscie. E’ stato oltrepassato il record dei giorni (22) con firma rifiutata e attività bloccate, vista la vanità dei tentativi di ravvicinamento. Tanto che, secondo gli economisti, sentiti in un sondaggio Bloomberg, ci sono il 25% di probabilità di una recessione nei prossimi 12 mesi per la prima potenza mondiale. Le agenzie di rating hanno già lanciato i loro alert sul rischio di perdita della tripla A per il debito Usa. Per certo Il blocco del governo impatterà sulla crescita del Pil nel primo trimestre ma anche sull’occupazione. In effetti è uno stillicidio di attività pubbliche bloccate e di gente che viene sospesa dal servizio o che lavora gratis (800mila famiglie coinvolte). Risvolti grotteschi, se non fossero così drammatici. Un miscuglio di settori a gambe all’aria, nelle piccole come nelle grandi cose. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. I guardiacoste, i giudici, gli ingegneri della Nasa, gli addetti alle previsioni del tempo. La Guardia costiera coi dipendenti dallo stipendio falcidiato consiglia quei lavoretti che da noi richiederebbero l’impiego dei voucher: “Siate creativi. Offritevi come baby sitter, portate a spasso i cani, fate le faccende domestiche” cita diligentemente Riccardo Barlaam su un giornale solito a confrontarsi piuttosto coi dati macroeconomici, come il Sole 24. Nove ministeri e una dozzina di agenzie federali sono chiusi o a mezzo servizio. Molti sono già scesi in piazza a protestare: i controllori e gli assistenti di volo a Washington, ma anche ad Atlanta e in altre città. Altre attività colpite: l’erogazione dei buoni con cui fanno la spesa le persone a basso reddito, i rimborsi fiscali, che quest’anno rischiano di non arrivare per tempo, i musei e gli zoo statali, i parchi nazionali, i tribunali (hanno risorse fino al 18 gennaio). Last but not least le attività contro il terrorismo della Fbi. E i sondaggi cosa dicono, o meglio, cosa riferiscono nel merito delle opinioni degli statunitensi su quanto sta succedendo? Secondo un sondaggio del Washington Post e di ABC News pubblicato ieri, la maggior parte degli americani (53%) ritiene il presidente Donald Trump responsabile del blocco delle attività amministrative in corso negli Stati Uniti; solo il 29% addita i democratici. Un altro 13% ritiene che entrambi i partiti siano ugualmente responsabili. Inoltre la costruzione del muro al confine con il Messico è sostenuta dal 42% degli americani (stessa percentuale delle persone che esprimono fiducia in Trump), mentre più della metà degli intervistati è contraria (54%). Inoltre, la maggioranza degli intervistati è contraria all’introduzione da parte di Trump dello stato di emergenza per costruire il muro; il 31% ha espresso il proprio sostegno a tale decisione. Particolare significativo. I risultati vengono pubblicati nei dettagli dall’agenzia di stampa moscovita Sputnik, solitamente non lontana dalle visioni politiche del Cremlino. Se a questo si aggiungono le forti perplessità degli ambienti repubblicani Usa, se ne ricava che Trump vede gradualmente ridimensionarsi le schiere dei suoi simpatizzanti, nel ceto politico come tra i cittadini, in patria come all’estero. Ma Donald tira diritto. Lui vuole fortissimamente la costruzione del muro. Ma ogni giorno che passa cresce la sensazione che l’unico muro che si sta innalzando è quello dei suoi oppositori e che il primo che andrà a sbatterci contro possa essere proprio lui