‘CIAO AMORE CIAO’ DI TENCO PARLA DI UN MONDO RURALE GIÀ ALLORA IN ABBANDONO
“Ciao amore, ciao”, di Luigi TencoIL RAGAZZO CHE LASCIA I CAMPI E VA IN CITTA’Il testo parla di un mondo rurale già allora in abbandono Perché posto qui questa canzone? Perché in un certo senso è la gemella del Ragazzo della via Gluk cantata da Celentano. Il testo narra di un giovane agricoltore che lascia “La solita strada, bianca come il sale / Il grano da crescere, I campi da arare”, per andarsene in città “Saltare cent’anni in un giorno solo”. Lascia la ragazza, da qui il “ciao Amore” gridato a pieni polmoni. Ma in città ci si scontra con una realtà diversamente dura: “Dire addio al cortile / Andarsene sognando / E poi mille strade grigie come il fumo / In un mondo di luci sentirsi nessuno”, per poi concludere: “avere voglia di tornare da te”, ma “non avere un soldo per tornare”.E’ la storia di milioni di giovani trasferitisi in città dalla campagna, la storia dei nostri padri, o meglio nonni, dai nostri stessi borghi abbandonati qui nei dintorni di Milano, negli anni 50 e 60, che Luigi Tenco ha scritto e cantato con la sua voce malinconica, adatta al contenuto del testo. La canzone, a mio modesto parere, avrebbe meritato molte traduzioni se non altro per le note musicali, e invece non ne ha avuta nemmeno una perché troppo tristemente legata agli ultimi giorni di vita di Luigi Tenco. La versione di Dalida è semplicemente grandiosa, ha valorizzato enormemente il bellissimo testo di Tenco, forse nessun’altro ci sarebbe riuscito come lei e la sua voce profonda, quasi metafisica.La canzone, sempre a mio modestissimo parere, avrebbe meritato di vincere Sanremo ma fu bocciata alla prima sera, ci credo che Tenco fosse disperato. Non giustifico il suicidio, però, non per casi così. E non quando hai una donna come Dalida innamorata di te. Mogol gli aveva peraltro confermato che le parole di Ciao amore, ciao erano perfette. E fu proprio Dalida a convincerlo a presentarsi in coppia a San Remo con quella canzone. La vincitrice fu Non pensare a me cantata da Claudio Villa ed Iva Zanicchi, due grandi voci, per carità, ma di quel testo oggi nessuno ricorda l’esistenza.
