GIUSTIZIA NON E’ VENDETTA

Sono da sempre convinto che le vittime di qualsiasi reato e i loro parenti abbiano il diritto di dire ogni cosa che gli venga in mente sui colpevoli senza che nessuno possa permettersi di sindacare. Così come sono convinto che si tornerebbe a un regime feudale se queste opinioni diventassero legge, come avviene infatti soltanto nei paesi con regimi politici religiosi. Quanti sono i parenti delle vittime di terrorismo e mafia in Italia? Tanti, troppi, ma non certamente il totale di tutti noi che viviamo in uno Stato democratico e laico che è basato su una concezione dell’individuo che prescinde da considerazioni morali sulla sua bontà o malvagità. Lo Stato non può basare le sue leggi sulla morale, altrimenti parleremmo di uno stato etico, e di stati etici ne abbiamo avuti di due tipi nel ventesimo secolo, quelli basati sul nazismo e quelli basati sullo stalinismo. Credevo che ci fossimo evoluti da questa concezione barbarica che trasforma la pena in vendetta. Non è così e quella schiera di leoni da tastiera oggi schiumante rabbia e odio non basati su un’esperienza personale di dolore, quell’esercito che oggi grida ai quattro venti che venti anni di prigione non sono abbastanza per un individuo, in realtà è una maggioranza artefatta che non ha idea di cosa sia la prigione in Italia e non sa come in altri Paesi europei che nessuno si sognerebbe di definire incivili i benefici di legge per i detenuti siano ben più ampi che in Italia. Certo, l’obiezione è semplice, in altri paesi europei non c’è la mafia. E questo è vero fino a un certo punto, ma diamolo per buono. Bisogna interrompere, dicono con la bava alla bocca i giustizialisti, la trasmissione d’informazioni tra il carcere e l’esterno tra i boss mafiosi e le loro associazione criminali per stroncarne il potere. Nel dire questo fanno finta d’ignorare che per anni i boss mafiosi non hanno urlato i loro ordini dalla finestra del carcere. Tutto ciò che entra ed esce da un carcere, dalla droga ai cellulari alle informazioni, passa per esponenti delle forze dell’ordine, avvocati e familiari dei detenuti. E’ questo complesso e articolato meccanismo di complicità che va bloccato, ma questa banale verità non si può dire, come tutte le cose che mettono a nudo un intero sistema di cui gli individui sono sempre una parte e mai il tutto. Negare un libro a un detenuto in regime di 41 bis non ha nulla a che fare con questo scopo. Perché se nel libro ci sarà una lima o dello stupefacente non ce l’avrà messo nè portato il detenuto. Così come negare le cure a chi è in regime di restrizione di libertà è soltanto una vendetta che non ha nulla a che fare con quello stato di diritto di cui tanti parlano senza sapere in cosa consiste, una vendetta che utilizza lo stesso schema di chi delinque, nessun rispetto per l’individuo. Veniamo al dunque. Saltiamo la questione terrorismo in cui l’azione delittuosa è stata esercitata in un arco di tempo limitato con conseguente ammissione della sconfitta militare e umana dai suoi esponenti. Andiamo alla mafia, dove i pentimenti dei criminali sono di natura quasi sempre con evidenza strumentale. Pentimenti sfruttati da elementi dello Stato con estrema malizia, come dimostrano decine di processi a partire dal primo sulla strage che ha portato alla morte di Borsellino e degli agenti della scorta e che non hanno contribuito a farci apparire dei giganti di moralità tutti gli integralisti fanatici di quella condanna a morte chiamata ergastolo ostativo. Riuscire a separare per venti anni il mafioso dal territorio e dalle relazioni associative in cui è immerso è una misura sufficiente a interrompere la sua capacità delinquenziale. Il resto è tortura di stato anche se dà fastidio sentirlo dire. Davvero possiamo pensare di esprimerci con una qualche certezza sull’esistenza di un ravvedimento in chi ha sciolto bambini nell’acido? Non potremo mai entrare, come Stato, che è l’unica cosa che ci accomuna tutti come società civile nelle sue varianti giustizialista e garantista, in questi meandri morali, dobbiamo quindi trovare misure che ci permettano di isolare il criminale dal contesto in cui opera senza ricorrere alla tortura. Questa è l’indicazione che viene dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. L’Italia è un Paese profondamente corrotto, fin nel midollo, nei nostri comportamenti di tutti i giorni, nell’accettazione dell’illegalità di cui nemmeno ci rendiamo più conto, perché è illegale lasciar perdere le discriminazioni sul lavoro, è illegale accettare che si cada da un impalcatura senza caschetto, è illegale che tu sia discriminato se non hai un lavoro, è illegale far morire le persone di fame, è illegale non prestare soccorso a chi affoga, è illegale che ti ridano in faccia se chiedi lo scontrino, è illegale che devi aspettare sei mesi per la carta d’identità. E alla fine la rabbia, l’affanno, la frustrazione che non scateniamo sui forti la scateniamo su chi sta da venti anni in galera, e siccome non siamo in grado di far rispettare i nostri diritti garantiti solo sulla carta allora ci accaniamo su chi quei diritti ha già perso da decenni, eleggendolo a capro espiatorio della nostra incapacità di costruire un mondo migliore. Siamo diventati un popolo di vigliacchi che si accanisce a tutti i livelli sui più deboli, in carcere e fuori.