IL CAPORALATO E GLI SCHIAVI INVISIBILI NELL’ ITALIA DELLA PACCHIA
Chissà come passano le ore di alcuni lavoratori. Ha sempre 60 minuti l’ora di un bracciante sotto il sole, di un pastore al caldo o al freddo e al gelo? Chissà quanti minuti aveva l’ora del pastore di 20 anni originario del Gambia, pagato 1,50 per ogni ora di vita impiegata a badare alle pecore nelle campagne di Brindisi? Quattordici ore al giorno. Per vitto poca roba al limite della sopravvivenza. Per alloggio un pagliericcio all’interno di una masseria. Questa la “pacchia” che cercava sicuramente quando è giunto in Italia. Questa l’illusione quando è caduto dalla padella dei trafficanti del mare ai caporali pugliesi. Queste le ore dal tempo eterno di un ragazzo immigrato e sfruttato. La task force anti-caporalato di Brindisi, impegnata qualche giorno fa in una indagine a Tuturano, ha posto fine all’incubo del giovane immigrato. Arrestate due persone, un uomo di 51 anni con precedenti penali e la sua convivente, una donna di 37anni. Le accuse mosse riguardavano la commissione di alcuni reati in concorso fra loro: l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, illecito smaltimento di rifiuti e l’incendio degli stessi nella masseria, condizioni di lavoro onerose del giovane africano in violazione delle norme contemplate nel testo unico sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e anche la mancata formazione, l’addestramento e il rispetto della normativa contrattuale. Torna prepotentemente alla ribalta della cronaca una piaga sociale che configura il reato di caporalato eufemisticamente denominato” intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro” Il giovane era detentore di un permesso di soggiorno rilasciato per motivi umanitari che sarebbe scaduto e non sarebbe stato rinnovato per la nornativa restrittiva oggi in essere. La sua condizione, quindi, di irregolare lo ha esposto al bisogno e, conseguentemente, al ricatto. Reso schiavo, di fatto e costretto a lavorare dall’alba fino a oltre il tramonto in condizioni disumane. Un invisibile per lo stato italiano, senza diritti e senza dignità, visibile solo agli sfruttatori che dalla sua situazione di disagio hanno tratto vantaggi e guadagni. È il famigerato ” caporalato”, il sistema di organizzazione del lavoro temporaneo, svolto da braccianti o operai, inseriti in gruppi di lavoro (squadre) di dimensione variabile (da pochi individui a diverse centinaia). Il ” caporale” reperisce la manodopera a basso costo per i proprietari terrieri e società agricole. Il caporale, quindi, è un mediatore illegale di manodopera. Oggi è una pratica diffusa che ben presto è stata avocata dalla criminalità organizzata volta all’elusione della disciplina sul lavoro. Si sfruttano illegalmente e a basso costo di manodopera i lavoratori privi di versamento dei contributi previdenziali e di tutele. Il caporale recluta sin dall’alba i lavoratori in punti strategici della città con il fine di farli lavorare in nero nei campi o nei cantieri edili. Il risparmio per la committenza è assicurato perché non sono riconosciute le adeguate protezioni sia in termini di sicurezza che dal punto di vista igienico sanitario, di riposo e di compenso. Una svolta legislativa c’era stata nel 2011con la legge n. 148 che aveva introdotto nel codice penale italiano il nuovo reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Con pene restrittive della libertà e sanzioni pecuniarie per i cosiddetti caporali. Purtroppo, però, questo sistema illecito di reclutamento per lavori agricoli e edili stagionali sottopagati, pur essendo un reato penale continua a mietere vittime in tutta Italia. Secondo dati statistici raccolti in Puglia sullo sfruttamento della manodopera agricola è emersa una nuova tendenza: i lavoratori preferiti dai caporali sono le donne e, soprattutto le donne italiane. La motivazione della predilezione di manodopera femminile italiana sta racchiusa in qualche intercettazione registrata ” più mansuete,non si ribellano e nella maggior parte dei casi subiscono senza denunciare, c’è il contorno che conta, l’ambiente” Moltissime le vittime in questa stagione morte di fatica, di stenti nell’indifferenza e nell’impotenza dimostrata dallo Stato nell’affrontare la problematica. Negli ultimi anni, l’allarme sociale generato dai tantissimi decessi, ha spronato gli enti a dar vita a task force in cui la sinergia fra forze dell’ordine, ispettorato del lavoro, asp e agenzia delle entrate, ha permesso di mettere in campo una forza unica e compatta per contrastare il fenomeno. Giace nei cassetti delle Commissioni parlamentari,però, un disegno di legge in cui era stata aggiunta una sanzione accessoria al reato volgarmente definito di” caporalato”:la confisca dei beni per chi compie il crimine. Il provvedimento normativo prevedeva oltre la confisca dei beni anche il rafforzamento dei controlli interforze, e le tutele per chi denunzia lo sfruttamento. Ogni volta che con l’uso di violenza, minacce e intimidazione ci si approfitti dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori si configura il reato. Il giovane gambiano è stato liberato da una schiavitù. Per molti non sarà così. Continueranno a contare le ore dai minuti infiniti, finché certezza del diritto e della pena non diverranno la regola in questo paese fondato sul Lavoro.
