IN RICORDO DI GIANCARLO PABA
IN RICORDO DI GIANCARLO PABA(La Repubblica 17/09/2019)L’intelligenza e l’ironia illuminavano il sorriso mite di Giancarlo Paba, fratello maggiore del mio amico più caro.Giancarlo si assumeva con allegria la responsabilità di essere venuto alla luce qualche anno prima di noi: il vantaggio di conoscere le cose, le persone e il mondo in anticipo sulla nostra esperienza non si traduceva in supponenza, semmai in una sorta di buffa saggezza che gli consentiva di moderare il radicalismo, che era suo, e nostro, con una certa dose di ragionevolezza e di cultura, quanto mai preziosa in tempi non facili.Dopo l’adolescenza a Sassari, vennero il trasferimento a Firenze, la facoltà di Architettura, e il tempo della mobilitazione e dell’euforia collettiva. Senza che mai la militanza lo distraesse dallo studio e dalla ricerca. Ecco un tratto peculiare di Giancarlo Paba: la passione politica innervava il suo lavoro scientifico e questo si nutriva delle domande espresse dai movimenti e dai conflitti sociali.Dopo la laurea, per lui fu naturale proseguire il lavoro all’università come docente e come direttore di Tecnica urbanistica e Pianificazione del territorio. A Firenze incontra la prima moglie, Patrizia (morta in un incidente stradale) e la seconda, Ada e nascono i figli Tommaso, Despina e Teresa.Mai lo studio di Giancarlo fu esclusivamente accademico, la sua progettazione mai si limitò all’ambito teorico, la sua curiosità mai si accontentò della sfera speculativa. Paba scelse lucidamente di dedicarsi all’una e all’altra dimensione, affrontando la fatica di percorrere “la lunga strada di crinale” (così scriveva nel 2012), a proposito di quello che riteneva dovesse essere il programma della fondazione Giovanni Michelucci. Un percorso che vuole, da una posizione, appunto, “di crinale”, comporre mondi tanto prossimi da essere destinati a confliggere: “spazio e società, architettura e abitanti, città e popolazione, bellezza e compassione”.Giancarlo pensa che il compito della Fondazione Michelucci, di cui dal 2012 è Presidente, consista proprio nell’incrociare e intrecciare continuamente i due versanti. E ciò corrisponde puntualmente alla sua identità e a quella che possiamo chiamare la sua vocazione politica, così come è espressa nelle ricerche sul rapporto centro-periferia, immigrazione e politiche abitative. Questo lo portò a essere pioniere in tanti campi di frontiera (ecco ancora il “crinale”) tra spazio, società e “cose” (come amava dire), tra pratica e riflessione; perfezionista nella ricerca di libri e immagini da condividere con studenti, amici e colleghi.Da qui si arriva, con una accelerazione tanto violenta quanto fatale, a ciò che rappresenta l’esito e il precipitato di tutte le tensioni e le lacerazioni prodotte dallo sviluppo anarchico del territorio: le sedi della privazione della libertà. Ovvero, quelle che Michelucci definiva “le istituzioni della sofferenza: le carceri, i manicomi, gli ospedali, i luoghi della povertà e del malessere”.Dunque, il carcere – l’impresa quasi impossibile di tutelare la dignità di coloro la cui dignità è quotidianamente offesa – è l’ultima tappa della ricerca instancabile di Giancarlo Paba. E dimostra esemplarmente come la ribellione giovanile possa diventare il fondamento, anche psicologico, di una inquietudine che, rifiutando la rassegnazione, produca idee e progetti di trasformazione sociale. Senza mai dismettere quell’ironia che è stata la cifra stilistica dei cinque fratelli Paba (Antonello, Giancarlo, Bruno, Enzo, Sergio), capaci di non prendersi mai troppo sul serio: e, allo stesso tempo, di fare anche questo con la massima serietà.
