QUANDO LE DONNE ITALIANE VOLEVANO GIOCARE A CALCIO E SFIDARONO IL FASCISMO

Tra pochi giorni, il 14 settembre, riparte il campionato di calcio femminile della serie A e lecalciatrici azzurre, che abbiamoimparato ad apprezzare eci hanno entusiasmato durante il Mondiale di Franciaricominciano ancora una volta da dilettanti. Nonostantele emozioni che la Nazionale ci ha regalato, nonostante le promesse e una petizione on line a favore del professionismo nel calcio femminile, nulla è cambiato ela crisi di governo in piena estate non ha aiutato. E’ un percorso accidentato quello delle calciatrici in Italia e che parte da lontano. Bisogna andare indietro al 1933, in piena epoca fascista, per scoprire che a Milano un gruppo di ragazze inizia una battaglia per poter giocare a calcio, comeraccontaGiovanni di Salvo nel libroLe pioniere del Calcio.Un racconto storico appassionatoricco di documenti del tempo, articoli di giornali e fotografie, che testimoniano i pregiudizichealcune ragazze coraggiose hannodovuto sfidare e la tenacia con la quale hanno difeso i loro sogni, diventati realtà anche se per un periodo molto breve, neanche un anno. “Meritavano di essere ricordate queste ragazze”, spiega di Salvo che di professione fa l’ingegnere a Palermo, ma che da anni segue con passioneil calcio femminile. “La loro storia mi ha coinvolto, aggiunge, hanno lottato, sono state bistrattate e ho voluto rendere loro un tributo”. I giornali controllati dal regime, quando le giovani chiedono di poter formare una squadra di calciatrici usano un tono sprezzante nei loro confronti. Ironizzano sull’abbigliamento che indossano in campo, teorizzano che ilcorpo delle donne non siaadatto ad uno sport cosi fisico come il calcio. Si insinua che potrebbe provocare danni all’apparato riproduttivo. E’ chiaro che la donna calciatrice mal si addice all’immagineche il regime ha della figura femminile angelo del focolare, madre fattrice di uomini coraggiosi da regalare alla Patria. In qualche modoridimensiona ancheil ruolo e la virilità dell’uomo italico. Mussolini sapeva che lo sport era uno strumento importantissimoe funzionale per gestire le masse -scrive di Salvo- e cosìil calcio femminile, diventa presto una questione di stato, perché una parte dell’opinione pubblica, soprattutto quellafemminile, guarda con simpatia alle ragazze milanesi e si schiera dalla loro parte. La maggior parte delle persone e dei mediaperò non approva questa idea bizzarra di voler giocare a pallone. Il direttore del giornale “Littoriale” voce del regime sarcasticamente consiglia le ragazze milanesi di rivolgersi ad un esperto endocrinologo come il prof. Nicola Pende dell’Università di Genova, ma per il settimanale si tratta di un autogoal perché illuminare escludeche il calcio possa procurare danni agli organi sessuali della donne e all’estetica del loro corpo. Consiglia però “moderazione, niente sforzi ed esagerazioni di movimenti muscolari, sempre dannosi all’organismo femminile”. Sulla stessa linea si esprime il Coni e il ginecologo Giovanni Ruini. Davanti al via libera scientificonasce così ilGruppo Femminile calcistico di Milano cheben presto va benoltre il capoluogo lombardo,attira nuove appassionate e si allarga ad altre città, da Alessandria a Roma, a Palermo,mentre non si ferma il dibattito attorno alla questione. Il regime sta alla finestra, tollera, ma non autorizza ufficialmente la nascita delle squadre femminili di calcio. Quando però le calciatrici di Alessandria e quelle di Milano chiedono di potersi sfidare davanti ad un pubblico si abbatte la scure. Alle gerarchie fasciste non resta che intervenire e proibire esibizioni pubbliche di calcio femminile, niente tornei e campionati, niente agonismo. Vietato costituire società o federazioni femminili di calcio. La battaglia delle giovani milanesi si arresta davanti all’evidenza che ormai avrebbero potuto giocare solo in segreto nascoste ad occhi indiscreti. Una sfidadurata circa otto mesi. Alcune di loro, su consiglio forzato delle autorità decideranno di passare all’atletica,disciplina allora ammessa. La rivista “Lo sport fascista” ricorderà anni dopo iltentativo delle ragazze milanesi come un esempio da stigmatizzare con un articolo dal titolo “Le idee di formare squadre femminili di calcio sono cadute nel ridicolo”. Una favola finché è durata. La festa delle Azzurre durante il recente mondiale in Francia (Foto da twitter @azzurri) Fa impressione realizzare come da sempre sul corpo delle donne si conducano battaglie ideologicheallo scopo di privarele stesse donne della libertà di scelta. Persino tirare calci ad un pallone è stato visto come un atto eversivo contro l’ordine prestabilito da una dittatura chevoleva la donna chiusa nelle mura domestiche. La seconda guerra mondiale spegne ogni velleità calcistica e con gli uomini al fronte le donne mandano avanti il paese da sole. Si torna a parlare di donne e pallone solo a metà degli anni 50, ma bisogna arrivare al 1968 per avere un primo vero Campionato nazionale femminile con le partite che duravano 70 minuti, due tempi da 35’ e un debutto della nazionale con una partitavinta contro la Cecoslovacchia. Un cammino lento e faticoso che non è ancora finito, anzi. “C’è stata una grandissima evoluzione del calcio femminile di serie A, dice Di Salvo, si dovrà passare al professionismo, ma servono i passi giusti. Le squadre grandi sono pronte, ma le piccole non ancora”. In bocca al lupo quindialle calciatrici che stanno per scendere di nuovo nell’Arena, l’aria è cambiata e la battaglia vale la pena di essere combattuta. Siete state un bell’esempio al Mondiale di Francia e sono pronta a scommettereche quest’anno più ragazze si iscriveranno ai corsi di calcetto.