RACCONTO. LA CASA ERA IN VENDITA

RACCONTO. LA CASA ERA IN VENDITA

In auto, prima sull’autostrada poi sulla provinciale. L’asfalto a tratti bagnato. Forse dovuto a qualcuno di questi acquazzoni estivi a macchia di leopardo che non recano frescura ma finiscono solo per aumentare l’umidità che ti si attacca alla pelle in modo fastidioso, sotto la camicia. Poi, verso l’arrivo, il percorso proseguiva su tratti di un terriccio pressato lungo un viale stretto, poco alberato. Seguendo lo specchietto retrovisore che l’invitava a non deflettere dalle sue più radicate convinzioni, senza perdersi a guardarsi intorno per cercare segnali di contraddizione. Giunto a destinazione scese, superando con un piccolo balzo, l’immancabile pozzanghera pronta ad accoglierlo ad ogni suo ritorno nella vecchia casa di campagna. Guardandosi intorno, come a cercare di cogliere qualche cambiamento nel paesaggio circostante, non trovò nulla di nuovo, nemmeno questa volta. Beh, … salvo la vecchia badante della casa che doveva essere salita, forse, in cielo la settimana prima e senza il dovuto preavviso! Del resto era proprio tornato per questo motivo. Cosa farne ora di questa antica residenza di famiglia? Era sopravvissuta alla stessa Lorenzina che pure di anni ne aveva accumulati sino ad ottenere una non disdicevole pensione. Forse avrà anche messo da parte un piccolo gruzzolo ma di incerto destino, essendo rimasta sola, senza alcun parente o erede. Una certezza lui però l’aveva maturata. Il suo lavoro non gli consentiva di insediarsi qui. Nemmeno durante l’estate. Quindi non restava che cercare di vendere e poi ripartire per sempre da questo luogo, senza alcun rimpianto. Era convinto che non sarebbero mancati gli acquirenti, anche in paese. Tutti amici di cui fidarsi (intendo dire persone in grado di esibire offerte oneste e di onorare gli impegni finanziari conseguenti). Questione di qualche giorno soltanto e poi, via, a riprendere una normalità temporaneamente sospesa. Maria gestisce il piccolo bar del paese, l’unico, e da oltre quarant’anni. L’aiuto del figlio Bruno è arrivato, ancora ragazzino, vent’anni fa e, da qualche tempo, si è aggiunta la nuora Federica. Dunque conduzione familiare, “giù alla buona”, come si usa dire da queste parti, verso i clienti ma anche con gli avventori di passaggio. Entrò. Un abbraccio contenuto per lei e una stretta di mano al figlio e a sua moglie che incontrava per la prima volta. “Piacere, Gianni Caproni. Sono di qui, come saprete ho una casa, dove sono vissuto da ragazzo, ma ora risiedo, e ormai da molti anni, a Milano.” “Caffè con zucchero dolcificante. Col diabete bisogna regolarsi, anche se qualche dubbio pure mi resta sulla reale efficacia di questa soluzione.” Sorrise Maria, forse pensando a qualche suo malanno trascurato. Il marito l’aveva lasciata già da qualche anno, ancora abbastanza giovane per una ancor più giovane ragazza rumena. (non si sa dove ora vivano). Attorno a un tavolino, accanto a una parete, scorse un paio di vecchi amici e subito pensò che forse uno di loro poteva fare al caso suo. “Allora, come va? Posso offrirvi qualcosa?” Due sorrisi gentili ad assecondare un cortese diniego. “Grazie stiamo già bevendo una birretta fresca” rispose l’amico più interessante per Gianni. “Ma vieni pure, accomodati con noi, così possiamo fare due chiacchere, se hai del tempo”. Se ne andò, come in un volo, quasi tutta la mattinata, a parlare di amicizie comuni e delle poche novità accadute dopo la sua ultima visita al paese. Della povera Lorenzina, conosciutissima da tutti, il che li portò inevitabilmente all’argomento del futuro di quella casa e della sua intenzione di venderla. Terminata la piacevole conversazione, niente da fare. Solo una cordiale saluto ma nessun spiraglio. Ma intanto era cresciuto l’appetito che reclamava una non più rinviabile e adeguata risposta. A pranzo dunque. Alla “Locanda del Pescatore”, una denominazione che non peccava certo di originalità, ma tant’è, e comunque, a sua memoria, dotata di una “cucina” molto allettante. Da Nando, vecchio amico di suo padre, bravo a pescare e a saper cucinare il pesce d’acqua dolce, materia prima ahimè quasi in via d’estinzione nella zona. Per via dell’inquinamento del fiume, lamentavano tutti, e quindi tinche, cheppie, barbi, gamberetti di fiume (anche se non si potrebbe pescarli), ma anche anguille. Ormai solo pesci d’allevamento che però, finiti nel piatto, riportavano comunque alla memoria una stagione passata. Vino della casa, niente di straordinario ma passabile. Insomma un bel tuffo tra gli odori e quei gusti del passato che potrebbero nascondere, in chi venisse dalla città, una punta di snobismo per falsa nostalgia. Invece per Gianni era davvero piacevole sostarvi, quando ritornava e per molte di quelle ragioni. La locanda o meglio la trattoria, perché di camere non disponeva, poteva ospitare sino a un massimo di una trentina di commensali. C’erano due piccole sale che con la cucina e l’unico servizio igienico completavano la struttura, peraltro usufruita in affitto. Forse Nando, il gestore, poteva aver bisogno di maggiore spazio… La casa di Gianni era un cascinale, alle porte del paese, ancora in buono stato. Ristrutturandolo forse si sarebbe potuto ricavarne quattro ampi locali al piano terra più cucina e servizi a norma di legge. Al piano superiore addirittura fino a cinque o sei stanzette con bagno. La locanda avrebbe potuto tornare ad onorare la sua funzione, abbandonata con il tempo, di vero e proprio albergo, con alloggi adeguati. L’ampio cortile consentiva di pensare a un parcheggio, sufficiente per la clientela, e probabilmente anche un piccolo giardino d’accoglienza. “Allora Nando, come va? Vorrei pranzare. Mi affido a te. Portami qualche buon piatto dei tuoi, magari un bel risotto con le tinche, se c’è” Sorrise bonario il trattore rispondendo alla prima domanda con una espressione un po’ vaga, tra l’incerto e il fiducioso nelle proprie forze, anche per darsi coraggio. “Insomma, si tira avanti con la passione di sempre, anche se i tempi non sono dei migliori. E tu Gianni cosa mi dici? Si sente la crisi anche a Milano, eh?” La conversazione proseguì ancora un poco, poi Nando si avviò verso la piccola cucina. Tornò dopo qualche minuto con un fumante piatto di risotto, proprio alle tinche! E una caraffa di vinello bianco della casa, bel fresco. Anch’egli si giovava dell’aiuto di familiari: la moglie Luisa e la cognata Eunice che era rimasta vedova e collaborava al servizio ai tavoli. Ne osservò lo sguardo. In cucina aveva un cuoco egiziano, Raghid che aveva contribuito ad arricchire il tradizionale tipico menu locale con nuove essenze e gustose contaminazioni nord africane e orientali. Poca gente ai tavoli in un giorno feriale Allora c’era il tempo per Nando di sedersi al tavolo con Gianni e riprendere la conversazione che, inevitabilmente, finì per cadere sull’argomento degli spazi limitati della locanda per poter pensare ad una crescita dell’attività in futuro. Gianni comprese subito la situazione, il suo amico aveva appunto l’ambizione di crescere, di ampliare l’attività. Magari introdurre anche piatti e servizi nuovi e, forse, l’idea della locanda vera e propria con alloggi poteva essere interessante. Il vecchio cascinale irruppe con forza nella conversazione tra i due amici ma, a quel punto, Gianni imprevedibilmente fu colto di sorpresa. “Senti un po’ “si sentì rivolgere “scusa se vengo subito al dunque. Non te la sentiresti di entrare in società con me? Tu ci metteresti la casa, insieme possiamo provvedere a ristrutturarla per il meglio e quindi avviare un progetto nuovo, avvalendoci delle nostre esperienze acquisite e delle risorse umane (come le chiameresti tu) presenti.” Chiaramente Nando era andato ben oltre gli intendimenti con cui Gianni era tornato in paese, cogliendolo ovviamente impreparato. Intanto il risotto reclamava una adeguata risposta del palato. Inoltre si proponeva con i piatti a seguire, come un provvidenziale aiuto per guadagnare tempo e iniziare a riflettere su quella proposta. Infatti seguirono nell’ordine: la prelibata anguilla in carpione, l’ultima portata di gamberetti di fiume fritti, le pesche sciroppate della casa e il caffè seguito dal classico liquore alle erbe, una vera prelibatezza preparata da loro. Incombeva la risposta da dare a Nando e allora, senza ostentare apparentemente troppo interesse, promise che ci avrebbe pensato durante una altrettanto provvidenziale e digestiva passeggiata pomeridiana lungo le stradine che uscivano dal paese. La campagna intorno era molto cambiata dai tempi della sua gioventù. Ne aveva visto e seguito l’evoluzione (o l’involuzione) nel corso degli anni ad ogni suo ritorno, seppur sporadico e di breve durata. Si era sviluppata progressivamente un’agricoltura intensiva che ne aveva mutato profondamente i caratteri. Erano quasi tutte sparite le piante ad alto fusto, in particolare i bei filari di gelsi che erano come dei ricami sui prati erbosi e che richiamavano la storica tradizione per l’allevamento del baco da seta, ormai scomparsa. Persino i fossi, che delimitavano i terreni e servivano a raccogliere e distribuire l’acqua per irrigare, erano stati arati per “conquistare” terreno da coltivare. Erano perciò frequenti e dannosi gli allagamenti dei campi coltivati ad ogni scroscio d’acqua un po’ più “energico” del normale. Le stradine sempre più strette per lo stesso motivo e dissestate. Arduo percorrerle persino in bicicletta. Ci si poteva imbattere, di tanto in tanto, in una vecchia chiesetta, restaurata col contributo dei fedeli, o in una cappelletta dedicatoria, quasi sempre al culto mariano, con la Vergine dipinta da mani un po’ incerte ma devote. Quando arrivava la stagione della vendemmia erano tutti coinvolti in famiglia, lui bambino, sul carro trainato da un pesante e un po’ affaticato cavallo. Ogni tanto una sosta davanti a quei luoghi di semplice devozione popolare anche per far riposare un affaticato animale da traino. Finché si arrivava finalmente ai filari, colmi di grappoli dai colori cangianti per i riflessi di un sole pungente. L’azzurro dei residui di verderame, rimasto in tracce sulle foglie e i tralci, che attirava la curiosità dei bambini. Il profumo dell’uva appena raccolta e versata sui tini per essere pigiata con i piedi impegnati in una specie di danza che aveva qualcosa di tribale e ancestrale. Insomma ritornava alla sua mente il fascino inalterato dal ricordo di quelle spedizioni fuori paese verso i campi, della scoperta del paesaggio. Purtroppo quelle vigne sono quasi del tutto scomparse. E’ rimasto solo qualche filare sperduto qua e là nella vastità dei campi intorno, quasi a sembrare un intruso, un corpo estraneo, affaticato e salvato dall’amore di qualche pensionato dedito, più che altro, alla passione per la cura della vigna. Ora ci voleva un riposino. Ad attenderlo quel vecchio divano che si pensava provenisse da un antico palazzo nobiliare, saccheggiato dal tempo e da intrusi alla ricerca di qualche cimelio o oggetto prezioso. Forse un poco scomodo ma comunque provvidenziale su cui posare, per qualche momento, l’accumulo di memorie appena evocate. “Ma chi l’avrebbe mai detto e pensato! Sono tornato sin qui per andarmene per sempre e invece mi si propone di andarmene per sempre ma da Milano per restare qui” Altro che riposino! Gianni si ritrovava a ripensare a un futuro che si era promesso convintamente. Chissà perché, in questi momenti, si ritrovò davanti agli occhi l’immagine di quella vedova dal nome strano, forse sui trentacinque anni e ancora fresca nel corpo e nel sorriso. Con i suoi occhi nerissimi che lo avevano osservato di soppiatto, mentre continuava a servire ai tavoli. “Che mi succede?” puntando lo sguardo verso la finestra, verso il paese poco lontano. “Chi mi ha gettato i dadi?” Gli era ben chiara la tentazione e la proposta che l’aveva animata. Un fuoco, inizialmente tenue, prima sulla preziosa stoffa del divano poi sino a giungere ai tendaggi delle finestre e, sempre più alto, si propagò rapidamente alle pareti e sul soffitto a cassonetto in legno. Si sviluppava con forza e avvolgeva ogni cosa insieme a un insopportabile odore acre di fumo sempre più irrespirabile. Ben presto la colonna di fuoco e la nuvola di fumo, che circondavano la casa, furono visibili fino al paese. Accorsero in tanti per tentare di spegnere l’incendio e poter salvare il salvabile, con il tragico pensiero sulla sorte di Gianni. Non ci fu nulla da fare. Il fuoco completò il suo terribile compito e non si trovò traccia di alcuno all’interno tra le macerie ancora fumanti del casolare, ormai completamente distrutto dalle fiamme. Da quel triste giorno non si seppe più nulla di Gianni Caproni. Lo cercarono ovunque e sentirono anche a Milano amici, colleghi e parenti. Nulla, era scomparso nel nulla, o forse tra quelle fiamme, chissà. Un vecchio saggio del paese, bonariamente considerato un po’ pazzo, andava dicendo che Gianni, risucchiato come in un buco nero, era caduto in una utopia. Allora tutti si convinsero ad erigere una lapide in uno spazio qualsiasi dove prima sorgeva quella vecchia casa ridotta in cenere. fino al sorgere mortale del sole