SALVADOR PUIG ANTICH: IL SOGNO SPEZZATO DELL’ANARCHIA

Quella notte Joan Miró non dorme, ha di fronte a sé i tre grandi quadri a cui sta lavorando in quei giorni di fine inverno, osserva i tratti neri e le grandi macchie di colore, dà gli ultimi colpi di pennello. Sono ormai finiti, e anche se i suoi occhi fissano quelle opere, la sua mente è rivolta a una piccola cella delModelo, il grande carcere che si trova sul carrer d’Entença. In quella cella, la 443, chiamata “la cappella”, è rinchiuso un ragazzo di ventisei anni. Anche lui non sta dormendo e non stanno dormendo le guardie che lo devono sorvegliare a vista: è stato condotto in quella cella alle nove di sera, dopo aver abbracciato per l’ultima volta le sorelle e aver ringraziato l’avvocato che ha fatto di tutto per difenderlo. Alle nove di domani sarà eseguita la sua condanna a morte con la garrota. Alle 9.40 del 2 marzo 1974 il boia fissa l’anello di ferro della garrota intorno al collo di Salvador Puig Antich e stringe. La morte è veloce: come la ghigliottina, la garrota è un sistema per rendere più “umana” la condanna a morte. Nonostante i divieti, leramblassi riempiono di persone che sfilano in silenzio sventolando le loro bandiere rosse e rosso-nere dell’anarchia, in molte chiese vengono celebrate delle messe, nell’ospedale civico centinaia di medici e infermieri vanno al lavoro indossando una fascia nera al braccio. Il 3 marzo il cadavere di Salvador viene tumulato nel cimitero di Montjuïc, la polizia ha l’ordine di disperdere la folla che vorrebbe assistere alla sepoltura: l’ordine è di arrestare chiunque porti un “fiore rosso”. In quel cimitero c’è anche la tomba di Buenaventura Durruti.