SPAGNA. COME MAI POSSONO PERMETTERSI QUATTRO ELEZIONI IN QUATTRO ANNI ?

SPAGNA. COME MAI POSSONO PERMETTERSI QUATTRO ELEZIONI IN QUATTRO ANNI ?

E’ ufficiale da martedì. Nuove elezioni il 10 novembre, nella Spagna dei record. Quattro elezioni in quattro anni con il più recente intervallo di poco più di sei mesi. Analisti stupiti. Strano. Sembrava tutto così facile, in apparenza, dopo il 28 aprile. Quando il Partito socialista di Sanchez (Psoe) aveva riportato una vittoria superiore alle aspettative che solo per una cinquantina di seggi non gli permetteva di governare in splendida solitudine. Scomparso il timore di un’affermazione dell’estrema destra di Vox, ridimensionati i Popolari consunti dalla precedente esperienza di governo. Altri vincitori, quelli della lista civica liberista (Ciudadanos) fortemente ostile alle posizioni autonomiste e beneficata dalla crisi dei Popolari e dai timori diffusi per l’avanzata di Vox. Non rimaneva che scegliere gli alleati tra il populismo di sinistra di Podemos, quello di destra di Ciudadanos e i raggruppamenti nazionalistici di varia estrazione territoriale (come catalani e baschi).  La scelta che rimaneva pareva obbligata. A renderla tale un forte movimento interno ai militanti del Psoe. Persone subito scese in piazza al grido di “Con Rivera no!”. Rivera è il cognome del leader di Ciudadanos, l’altra lista uscita dalle elezioni con un indiscutibile successo. Peccato che, solamente sommando i voti di Psoe e Ciudadanos, fosse possibile raggiungere e superare la soglia della maggioranza (180 seggi al di là  dei 176 richiesti). Che fare dunque? Problema non semplice. A dispetto di quanto riportato da alcune testate nostrane che quando si parla di politica estera dimostrano problemi di conoscenza, nemmeno una pura e semplice alleanza Psoe / Podemos avrebbe raggiunto la maggioranza  per una decina di voti. Non solo dunque i socialisti avrebbero dovuto digerire le posizioni antiliberiste di Podemos in materia economica. Avrebbero anche dovuto accettare la mediazione di Podemos, grazie alla quale conseguire i voti di qualche lista nazionalista. Indispensabili per raggiungere il quorum. Il che avrebbe voluto dire vedersi rientrare dalla finestra i movimenti indipendentisti cacciati dalla porta e magari con qualche leader incarcerato e in attesa di processo, come nel caso dei catalani. Il troppo è troppo deve avere pensato il buon Sanchez. E di lì è iniziata la sua melina a centro campo per sabotare la costituzione di un nuovo governo scaricando le colpe su Podemos. Anche perché l’appetito vien mangiando e i sondaggi davano e danno in ascesa il Psoe del dopo elezioni. Vuoi vedere che provando e riprovando il Psoe poteva riuscire a governare in splendida solitudine? Malignità, e comunque, in questi casi si fa ma non si dice. Comunque sia, di fatto, l’alleanza Psoe/Podemos con qualche supporto esterno, in questi mesi si è rivelata irrealizzabile. Dapprima perché Podemos, risultando più che un semplice ago della bilancia, il vero garante di un eventuale governo, voleva godere di un’adeguata rappresentanza nell’esecutivo. Sappiamo che, nella Spagna del dopo Franco, sono rimaste tracce indelebili di una nostalgia dell’uomo solo al comando e che quindi, negli anni che seguirono, si realizzarono solo dei monocolore con appoggio esterno e mai dei governi di coalizione. Ma. fatto qualche calcolo elementare, non sarebbe apparso scandalosa una prima volta in cui sperimentare una coalizione. Per lo meno apparve ridicolo che ci si nascondesse dietro a questo ordine di falsi problemi per non rivelare la vera natura dell’impasse. Come conciliare una politica anti indipendentista e rigidamente conforme, sul piano economico, ai deliberati della troika, con un’alleanza disponibile a negoziare con gli autonomisti e a sia pur timidi cedimenti sul versante dell’austerity. Siccome anche i socialisti capivano che non potevano onestamente nascondersi dietro ad un dito, vennero trovati altri argomenti. Dopo avere respinto le richieste di Podemos per una coalizione che avrebbe consentito loro l’accesso a Ministeri di una qualche importanza, vennero altri no. Ultimo quello contro una proposta di Podemos per un esecutivo di coalizione temporanea che provvedesse alla stesura di una legge di bilancio. Niente da fare. Poco di nuovo anche sul fronte di una possibile patrimonialina, che coinvolgerebbe comunque solo fasce di ricchezza oltre i 10 milioni di euro. Aria fritta o quasi.  “Al voto, al voto” dichiara Sanchez con una smorfia di contrizione sul volto che non convince tutti. Tanto meno gli altri possibili alleati di centro destra, Ciudadanos, che già ai primi contatti come “secondo forno” hanno provveduto a una marcia indietro su di un’ipotetica alleanza che scongiurasse le elezioni. Senza una condanna pesante degli indipendentisti e senza un taglio delle tasse con loro niente da fare. Sul tavolo rimangono altri problemi aperti: conseguenze della brexit, questione costituzionale (fino a quando la monarchia?), rischi di recessione, varie ed eventuali.  Per l’economia però timori relativi. La Ue è abituata a chiudere un occhio quando si tratta degli spagnoli Un interrogativo aleggia comunque nell’aria. Come mai la Spagna, in tutti questi anni, si è potuta permettere una gestione politica da stato libero delle banane senza che i mercati ne abbiano risentito? E qui si rende necessario svelare un segreto di Pulcinello di cui però raramente si trova traccia sui media. Dal 2011 la Spagna si trova sottoposta ad una sorta di commissionamento latente da parte della troika o di come la vogliamo chiamare. Nel patto non scritto è contenuto l’obbligo, per qualsiasi governo, di rispettare le regole neoliberiste dell’austerity. In cambio la possibilità di sforare i tetto del 3% nel rapporto deficit/pil, evitando così di trovarsi con l’acqua alla gola. Si è così innescato un circolo virtuoso, ma non per tutti. La possibilità di sforare il 3% consente la crescita del pil più che altrove; il fatto che l’aumento del pil consenta ulteriori investimenti dovrebbe salvare capra e cavoli orientando però gli gli investimenti medesimi secondo i deliberata dell’austerity. L’importante è che l’aumento del pil rimanga tale e tutto proseguirà in maniera sostenibile. Tutto bene, al punto di sopportare quattro elezioni in quattro anni senza che mercati e spread ne abbiano risentito. Solo qualche inconveniente. Chiamateli se volete effetti collaterali. Nella Spagna dell’ultimo decennio, nonostante il virtuoso aumento del pil, altri indicatori economici ci rendono nota una situazione per alcuni versi peggiore di quella della derelitta Itakia. Ci riferiamo al tasso di disoccupazione, compresa quella giovanile, oltre che al  tasso di precarietà del lavoro e al crollo verticale di settori come l’edilizia. Vengono in mente le parole profetiche di Robert Kennedy: “Il Pil misura tutto, tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta”. Ma forse in questi ultimi mesi qualcosa rischia di cambiare. Anche i mercati, forse più realisti di coloro che li idolatrano, hanno cominciato a nutrire qualche dubbio sul modello spagnolo. Lo spread dei btp spagnoli (bonos) ha cominciato a perdere qualche colpo nel confronto dei bund tedeschi, come anche dei nostri titoli di stato. Ma se queste variazioni possono, nel nostro caso, essere collegate ad eventi esterni, coma la fine del nostro governo gialloverde, c’è un indicatore totalmente ignorato, che potrebbe invece rivestire un qualche significato, in proiezione futura. Lo spread dei titoli di stato portoghesi (a dispetto del fatto che il paese sia governato da una coalizione di sinistra), è sorprendentemente andato a livelli analoghi a quello dei bonos, che fino a pochi mesi fa godevano invece di uno spread decisamente più basso. Un evento storico o solo un evento congiunturale? Fossimo in Sanchez, tutto preso da un’euforia preelettorale contraddistinta da sondaggi favorevoli, un pensierino ce lo faremmo, in proiezione futura. Di austerity non muore solamente la gente comune. A volte defungono anche i governi che se ne fanno portatori.