CRISI CURDA: CHE CONSEGUENZE PUÒ AVERE?

Tutto si può dire della crisi in atto fra Turchia e Siria meno che si tratti di un fatto inaspettato: Erdogan da anni non fa mistero del suo progetto neo-ottomano ed il repentino ritiro degli Usa dalla Siria è suonato come l’autorizzazione ad Ankara a passare ai fatti. Questo è chiaro come due più due fa quattro. Ed è partita l’aggressione che può diventare presto un genocidio. Di fronte a tutto questo la reazione degli Usa, diciamolo, è indecente. Prima dicono che insomma dei curdi non gli importa nulla(“alleati? Si ma non erano con noi in Normandia” è stata la ripugnante battuta di Trump); poi ci ripensano e forse, si, bisogna dire qualcosa ad Erdogan: “Dai non è il caso. Non fare lo sciocco”. Trump è una figura tragicomica:un anno fa era sul punto di fare guerra alla Turchia e minacciava di distruggerne l’economiaper la questione di un pastore protestante,amico della moglie, arrestato perché ritenuto spia dai Turchi. Oggi dice che in fondo i Turchi possono fare quel che vogliono a 7.000 kilometri dalle coste americane. Che sia un cretino che ragiona come il pizzicagnolo dell’angolo lo capisce ormai il più sprovveduto lettore di giornali.Non è che non abbia una strategia, è che proprio non sa cosa sia ed a cosa serva una strategia. Ed è il capo della massima potenza mondiale! Siamo fierissimi avversari degli Usa e, se non ci fosse di mezzo la sopravvivenza di centinaia di migliaia di esseri umani, ce ne compiaceremmo sperando che mandi al più presto gli Usa nel più buio sprofondo. Il guaio è che, oltre al massacro dei Curdi, si prospettano sviluppi geopolitici gravissimi. Dell’Europa non diciamo neppure:la Ue è un ente inutile da chiudere prima possibile e gli stati nazionali singolarmente presi sono di desolante inesistenza politica. Cosa può derivare da questa che Tramp, nella sua stupidità, definisce una “guerra tribale” sottintendendo di nessuna importanza politica. Intenzionalmente non toccherò temi di natura umanitaria(il massacro di un popolo, la nuova ondata migratoria eccetera): gli europei hanno sufficiente pelo sullo stomaco per digerire questo ed altro ed abbastanza lacrime di coccodrillo per piangere su tutti gli olocausti che permettono o compiono. Veniamo sul piano delle fredde analisi.La Turchia di Erdogan ha in mente un piano di ricostituzione dell’Impero Ottomano(anche se non è necessario che si chiami in questo modo) che ponga la sua candidatura alla leadership del mondo islamico. Questo è stato dichiarato in forme più o meno esplicite da ormai un decennio. Sin qui si è trattato solo di discorsi ma,sul piano dei fatti, non si è andati oltre l’appoggio ad una delle frazioni militari siriane, l’ambiguo occhieggiamento con l’Isis (come il far transitare foreign fighters ed armi, verso il Califfato e petrolio di contrabbando e reperti archeologici dal Califfato verso l’Europa) o qualche gesto simbolico (come l’abbattimento di due aerei militari russi). Ad impedire altri sviluppi c’era una situazione vigilata da Russi ed Americanicon i quali non si poteva rischiare un conflitto aperto, una situazione economica catastrofica ed, in definitiva, l’assenza di successi esterni che non potevano essere compensati da quelli repressivi interni. Ora siamo alla prima uscita strategica di Erdogan fuori dei confini nazionali e dal successo o dall’insuccesso di questa uscita dipende in gran parte il resto del progetto che prevede:l’annessione del kurdistan Siriano, poi l’espansione verso quello Iraqueno alla conquista dei preziosi pozzi petroliferi, la definitiva “conquista” di Cipro e la minaccia alle isole greche. Nello stesso tempo, ci sarebbe il rilancio dello storico asse turco-egiziano con conseguente controllo del pozzo di Zhorche sposterebbe a favore dei due paesi i rapporti di forza petroliferi (e qui si capisce meglio labanditesca operazione dei primi mesi del 2018contro la nave dell’Eni al largo di Cipro, alla quale l’imbelle governo Gentiloni-Alfano non ebbe il coraggio di contrapporre l’invio di unità della nostra marina militare). E, d’altra parte, i turchi potrebbero prospettare un asse, magari provvisorio, con l’Iran con effetti su tutta la “mezzaluna sciita” sino al Libano (anche se non è detto che l’Iran ci stia). Peraltro, anche il rapporto con il terrorismo islamico potrebbe riservare molte sorprese e già ci sono segnali di partecipazione di combattenti Isis a fianco dei turchi. Tutto questo metterebbe in moto un complesso “gioco di bocce” nel quale una urta l’altra.La prima conseguenza vistosa potrebbe essere una brusca accelerazione del conflitto fra sauditi ed iraniani(che già in estate ha avuto una forte spinta con l’attentato alla piattaforma petrolifera). L’Arabia saudita potrebbe essere indotta ad intervenire sia per prevenire il rischio di un asse (anche solo provvisorio) fra Teheran e Ankaraed anche per contrappesare l’eventuale successo militare turco, sottolineando come ci sono altri che possono aspirare alla leadership del mondo islamico. A sua volta l’Iran, che dovrebbe digerire l’aggressione, almeno parziale, dell’alleato alauita di Damasco,qualora fosse sicuro di non essere attaccato dai sauditi, potrebbe pensare di arrivare in appoggio ad Assad. Va da sé che questo complesso ed imprevedibile gioco di alleanze e conflitti avrebbe fra le prime ripercussioni un salto in avanti del prezzo del petrolio da ricordare quelli del 1973, del 1979, del 1991, ecc. Conviene all’Europa questa prospettiva? Diremmo di no. Ed allora che fare? Diciamo subito una cosa: il blocco delle vendite di armi (di cui Erdogan ne ha già a bizzeffe), i boicottaggi e le sanzioni economiche, le manovre diplomatiche e così via, quando già le armi sparano, non servono a niente.Non è così che si può dissuadere un delinquente come Erdogan. Poi figuratevi: nessuno ha neppure chiesto di convocare il Consiglio di sicurezza dell’Onu e Trump propone un compromesso che di fatto è la resa dei curdi. Quando si è iniziato a sparare, l’unica cosa efficace è l’intervento armato. Certo, con la dovuta gradualità:in primo luogo con l’invio delle flotte dei paesi Nato in zona (e se gli Usa non ci stanno, Francia, Italia e Grecia hanno flotte più che sufficienti), subito dopo con la dichiarazione della no fly zone per cui si procede ad abbattere tutti gli aerei militari tirchi in volo, poi con il blocco navale dei principali porti turchi, appena possibile con lo sbarco di una forza di interposizione (come già sta facendo saggiamente la Russia a protezione di Assad). E se i Turchi reagiscono facendo passare i profughi che detengono nei loro campi, oppure attaccando i mezzi navali eccetera? In quel caso si passa alle maniere forti dichiarando guerra alla Turchia con tutto quel che ne consegue e senza risparmio di munizioni e bombe (voglio essere chiaro). Una guerra? La guerra già c’è e si tratta solo di soccorrere i più deboli.Ovviamente sono convinto che né l’Europa né gli Usa faranno niente di tutto questo e si limiteranno alle proteste più platoniche. Però sono convinto che se la manovra di Erdogan avesse successo, europei ed americani rimpiangeranno amaramente di non averlo fatto. Per chi volesse rimanere informato sull’evolversi della crisi, segnalo ilcanale Telegram del gruppo Rojava Resiste,che fa davvero un prezioso lavoro di informazione ele corrispondenzedi Benedetta Argentieri, giornalista italiana ora al fronte eDaniele Raineri,giornalista de Il Foglio esperto di Medio Oriente e politica estera.