IL CONTRIBUTO ITALIANO ALLE DEPORTAZIONI DEGLI EBREI

Sabato 16 ottobre 1943 i nazisti rastrellarono 1259 persone, 689 donne, 363 uomini e 207 bambini, quasi tutti della comunità ebraica. Alcuni vennero rilasciati perchè appartenenti a famiglie di sangue misto. Alla fine in 1023 furono deportati al campo di sterminio di Auschwitz. Soltanto in 16 riuscirono a sopravvivere. Oggi celebriamo il loro ricordo 76 anni dopo e dobbiamo continuare a farlo finché ne avremo la forza, finché comprenderemo il valore della memoria. Alcuni che erano allora bambini riuscirono a sfuggire al rastrellamento, allontanati dai genitori che avevano capito cosa stava succedendo. Li hanno visti portare via per non tornare mai più. E’ vero che furono molti, davvero tanti visto il pericolo che correvano, i romani che cercarono di aiutare gli ebrei a scampare alla morte. Altri italiani invece, anche questi tanti purtroppo, gli ebrei li denunciarono ai nazisti per riscuotere una taglia o, peggio ancora, per convinzione politica. Io sono nato nel 1962, 19 anni dopo il rastrellamento di quel sabato nero, cresciuto in una famiglia cattolica in cui quasi mai si discuteva di politica. Mio padre per non aderire al fascismo e alle sue organizzazioni giovanili si laureò soltanto dopo la guerra. Dopo l’8 settembre decise di aderire all’esercito di Badoglio nel sud d’Italia, non andò con i partigiani ma non sopportava il fascismo. Quando mi raccontavano i tempi della guerra il ricordo dei miei genitori non era tanto rivolto alla loro condizione precaria, che nonostante gli stenti era di lusso rispetto a quella degli ebrei. Abitavano nei pressi di Piazza Vittorio a Roma, in via Cairoli, uno dei palazzoni che finì come molti altri in quel tempo per dare ragione a quell’ufficiale nazista che si lamentava di come metà dei romani nascondesse l’altra metà dei romani e tra questi molti ebrei. Io facevo domande su di loro, ero avido di dettagli su mio padre e mia madre come tutti i ragazzi, e loro mi rispondevano parlando delle persone che avevano visto portare via. Per loro l’occupazione tedesca di Roma era consistita principalmente in questo: deportare gli ebrei. Non soltanto il 16 ottobre naturalmente. E ricordavano perfettamente i nomi dei vicini di casa che facevano la spia per i tedeschi. E siccome questo episodio della colonna di veri infami collaborazionisti, e non solo come detto per denaro, viene spesso liquidata con pochissime righe dai libri di storia, negli anni l’argomento è diventato uno dei miei principali interessi. Anche perchè restavo colpito dal sorriso che illuminava il volto di due persone assolutamente buone come i miei genitori quando raccontavano delle conseguenze, diciamo così, non assegnate tramite le aule dei tribunali, a cui andarono incontro alcune di queste spie. Su oltre ottomila arresti di ebrei nel nostro paese la metà avvenne grazie a delatori italiani. La considero un’infamia di gran lunga superiore all’adesione al fascismo, non furono pochissimi i fascisti contrari alle politiche del regime contro gli ebrei. Parliamo proprio di persone che hanno mandato coscientemente alla morte migliaia di ebrei. La bibliografia non è molta ma intanto vi consiglio “I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945” dello storico Simon Levis Sullam per Feltrinelli.Rispondendo a un’intervista su Il Fatto quotidiano del 2015Levis Sullam precisa: “I documenti dimostrano un largo coinvolgimento delle forze dell’ordine: polizia, carabinieri, guardia di finanza. E dei corpi politico-miltari del fascismo: la Guardia nazionale repubblicana, la milizia, le bande (nel libro sono citate in particolare le famigerate bande Koch, Muti, Carità, ndr). Ma ci furono anche molti civili che denunciarono i vicini di casa. Poi i responsabili della burocrazia che faceva funzionare la macchina, Comuni compresi. Non tutti ebbero le stesse responsabilità, ma tutti erano consapevoli di partecipare a progetto persecutorio e senza il loro contributo quel progetto non sarebbe stato possibile. La burocratizzazione dello sterminio è un concetto da applicare non soltanto alla Germania, ma anche all’Italia”. Quante volte abbiamo sentito dire che in fondo gli italiani erano brava gente e che il fascismo era una dittatura all’acqua di rose? Non è solo un mito da sfatare è più esattamente una falsità storica. Furono migliaia i civili italiani che denunciarono gli ebrei, ci spiega nel suo ben documentato saggio Levis Sullam. Alla suo opera si aggiunge un’inchiesta condotta da Silvia Haia Antonucci, responsabile dell’Archivio della Comunità ebraica romana, da Claudio Procaccia, direttore del Dipartimento Cultura della Comunità, dallo storico Amedeo Osti Guerrazzi e del demografo Daniele Spizzichino. L’indagine s’intitola “Dopo il 16 ottobre 1943”, edita da Viella, e ci spiega, grazie all’analisi di carte dove sono contenuti nomi e cognomi dei delatori, come questi fossero portieri dei palazzi, guide turistiche, per non parlare dei “mediatori”, personaggi che millantando conoscenze tra i gerarchi nazisti si facevano dare somme di denaro per “salvare” ebrei, per poi denunciarli e riscuotere altri soldi dai nazisti. Dopo il 16 ottobre, appunto. Quando non c’era più alcun dubbio sulle intenzioni dei nazisti. Quando parliamo quindi della necessità di non dimenticare l’orrore dello sterminio degli ebrei ad opera dei nazisti dobbiamo dunque avere il coraggio di non dimenticare il prezioso contributo dato da migliaia di italiani alla Shoa. E nulla mi toglie dalla mente che il fatto che questo atteggiamento verso gli ebrei, non episodi ma quotidianità, sia stato rimosso dalla coscienza collettiva italiana sia all’origine del ritorno, assolutamente non paragonabile alla Shoa, d’intolleranza e xenofobia nella società italiana, di questi rigurgiti di odio ingiustificato verso la diversità etnica o religiosa o di ceto dei tempi che viviamo.