LA LINEA ONDIVAGA DI TRUMP DESTABILIZZA IL MEDIO ORIENTE

L’insensata mossa del presidente USA di abbandonare il popolo Curdo al suo destino e la tradizionale e tragica impotenza europea di affrontare le crisi internazionali senza avere una minima linea politica e militare cominciano a preoccupare anche l’opinione pubblica israeliana, Gli israeliani non sono i soli a chiedersi quali siano le motivazioni di Trump dietro a queste mosse azzardate e illogiche. Non si tratta solo dei Curdi, gli attacchi iraniani agli impianti di raffineria sauditi sono rimasti impuniti, e tutto il mondo sunnita si chiede se il tradizionale alleato statunitense sia ancora affidabile e soprattutto intenzionato a impegnarsi in prima persona nel caso dello scoppio di un conflitto regionale più o meno esteso. Quest’anno l’escalation iraniana nel vicino oriente ha coinciso con il ricordo della guerra del Kippur scoppiata nel 1973. In quell’occasione Israele venne sorpresa da un attacco congiunto di Egitto e Siria e si trovò sull’orlo del tracollo militare salvo poi ribaltare la situazione e concludere i combattimenti a 101 km dalla capitale egiziana e 70 km da quella siriana. Un trauma che ancora oggi caratterizza la società israeliana, sia per l’alto numero delle perdite subite, sia per l’incapacità dell’intelligence militare di interpretare nel giusto modo i vari indizi che preannunciavano l’imminenza del conflitto. Israele sta vivendo un momento di transizione, le elezioni si sono concluse meno di un mese fa e ancora non si vede all’orizzonte la formazione di un nuovo governo, e Natanyahu cerca di gonfiare la minaccia iraniana per accrescere la sua credibilità nel gestire le crisi internazionali, forte dei suoi stretti contatti con Trump ma anche con Putin. La possibilità di arrivare ad una crisi militare in piena regola è ancora remota. Pur non avendo ancora a disposizione un armamento nucleare gli iraniani dispongono di un ottimo deterrente: le decine di migliaia di razzi e missili a disposizione di Hezbollah, la milizia sciita libanese che domina il sud del Libano ed è fortemente rappresentata sia nel governo che nel parlamento libanese. Fino ad oggi Ali Khamenei, la guida suprema del regime degli Ayatollah, ha calibrato gli attacchi militari verso l’Arabia Saudita in maniera tale da non obbligare nè Riad nè Washington a reagire in maniera spropositata. Ma una reazione così blanda non fa che aumentare il senso di sicurezza iraniano, basandosi su una sensazione di impunità che potrebbe portare Teheran a compiere dei passi troppo avventati. E’ indubbio che in questo momento l’obiettivo primario della leadership iraniana è quello di limitare il più possibile le sanzioni economiche che stanno soffocando la già precaria economia nazionale. Nel caso che il regime degli Ayatollah arrivasse alla conclusione che venga messa in pericolo la sua stessa esistenza, allora la possibilità di uno scontro militare diverrebbe inevitabile. L’esercito israeliano segue ormai da decenni gli sviluppi militari e politici iraniani e attualmente è in grado di fronteggiare una possibile minaccia di attacchi missilistici provenienti da Teheran e dintorni. Paradossalmente sono gli iraniani a considerare Israele come un avversario imprevedibile e quindi sono molto cauti nell’impegnarsi in uno scontro diretto, almeno per il momento. Nel Medio Oriente il tempo e la logica hanno dimensioni e criteri completamente differenti da quegli del mondo occidentale. L’Iran è il paese che, secondo la tradizione, ha inventato il gioco degli scacchi, una disciplina dove pazienza e strategia a lungo termine sono essenziali per la vittoria. Attualmente siamo ancora alle aperture.