PER LE TUE STRADE, CON L’AMORE CHE MERITI
Percorro le tue strade non molto spesso, ora che sto lontano. E’ vero, per il Perdono appena finito le ho percorse di più, ma non potevo vederle e sentirle veramente, troppa gente le percorreva insieme a me. Ho appena intravisto l’architrave sulla porta laterale della tua chiesa, la porta difronte ad un pub. L’architrave del trecento, quando tu, città murata, cominciavi a vivere. E se non sono entrato dentro la chiesa, ho visto le ossa di quel martire bambino, che niente aveva a che fare con te, ma dovevi avere un simbolo per cui pregare e chiedere grazie. Ho visto quella meravigliosa pietà delle Sante Marie e il presepe del fonte battesimale, ma ho anche immaginato il Reliquiario d’argento di Donatello che ti è stato trafugato o che è stato venduto ignominiosamente e che ora si trova nelle cantine del Metropolitan Museum a New York senza che nessuno possa vederlo. Ma ho ricordato anche la “Samaritana” del Martinelli in una sala un po’ più riservata, ma non tanto. E poi ho percorso via Fazia con il “convento” quella stupenda costruzione con un chiosco interno di silenzio e di meditazione nei secoli. Già il Convento, il posto dove sono cresciuto, il posto di Don Felice, ed ho visto il mio prete, il mio maestro, appoggiato ad un muro davanti alla sua chiesa con la sigaretta,affranto per una triste notizia o allegro e sorridente per una buona nuova. E dentro la sua chiesa ho rivisto, anche senza entrarci, la grande tavola di Gregorio Pagani e mi sono venute in mente le messe beat degli anni sessanta, quando Don Felice per la prima volta si rivolgeva a noi di fronte, non di spalle. Fu uno dei primi preti a modificare l’altare dopo le decisioni del concilio. Ho subito pensato anche agli affreschi della chiesa dei Mori, all’angelo che pesa le anime, e le nostre anime allora erano veramente leggere. Ho sentito l’allegria delle Facetiae di Poggio e ho visto i colori di Fra Diamante. Ho meditato sui lucidi argomenti di Bettino Ricasoli e di Concino. Mi sono gettato ancora dalla tua torre pentagonale vicino alla casa dove sono nato e non c’è più ed ho ancora volato sereno e felice come quando ero bambino.E voglio ancora percorrere le tue strade, fino a Pernina per la tua festa di primavera, o fino all’Arno per il tuo carnevalino, Voglio percorrere le tue strade fiorite per la festa del Corpus Domini, o dietro Longino che fustiga Gesù nelle processione settennale. Voglio respirare la storia delle tue mura e delle tue torri. Voglio percorrere via Concini dove appena dopo il palazzo e prima del convento dei frati, c’è ancora, intatto, perfetto ed incredibile, l’atelier di Giuliano Azzoni, un grande figlio tuo. Voglio rivedere la scultura di Lido nella piazzetta vicino alle poste. Ed ammirare le palme della scuola elementare che mio padre, bidello, piantò in una “festa degli alberi” di tanti anni fa. Voglio visitare ancora quella chiesa delle Tavole del Vecchio testamento di Botta e di Chia, quando non c’è nessuno dentro se non l’alito del moderno mischiato con il trecento della tavola alla sinistra dell’altare. Voglio respirarti ancora paese mio per l’amore che meriti.
