PRATI MONTANI: CHI LI SALVERA’?
Chi, dopo una lunga camminata in montagna con zaino in spalla, non ha mai fatto sosta sedendosi su un masso o per terra sull’erba col cuore a mille nel bel mezzo di un’ampia e luminosa radura erbosa? In quell’occasione gli occhi dell’escursionista si saranno senz’altro soffermati sulloskylinedel paesaggio circostante, sulle farfalle in cerca di polline sui fiori della radura, sul volo di una poiana apparsa nell’azzurro del cielo e su tante altre immagini “belle” visibili solo da una radura aperta e non certamente dall’interno del bosco. Già…le immagini “belle”. In effetti, chi va per sentieri in montagna o in collina lungo una delle tante sterrate bianche non può che essere alla ricerca della bellezza dei luoghi, valore inestimabile per coloro che la cercano. Tuttavia riflettiamo sul fatto che il mosaico paesaggistico fatto di boschi alternati a zone aperte, come i prati montani, dove il bosco è assente, non è soltanto opera di madre natura ma del binomio antico uomo-natura. Se fosse solo la natura a comandare di sotto a una determinata quota altimetrica, il limite dei boschi, non troveremmo che…alberi. Tuttavia, mentre è facilmente comprensibile che città, strade, ferrovie, aeroporti e tutte le infrastrutture civili abbiano occupato il posto di madre natura, meno intuibile è che un prato montano abbia occupato il posto del suo fratello maggiore: il bosco. Ma come avviene questa trasformazione? Fino alla metà del secolo scorso, per esempio nell’Appennino, i paesi montani e collinari erano completamente abitati. Nei vicoli i bambini si rincorrevano giocando, le donne sedevano sull’uscio rammendando qualche vestito e…gli uomini? Molti di loro si dedicavano a quelle che ancora oggi chiamiamo le attività agro-silvo-pastorali, ovverosia la coltivazione dei cereali nei campi, la pastorizia, l’allevamento del bestiame domestico, l’orticoltura, il taglio dei boschi e tutto quello che ruotava attorno ad un’economia prevalentemente agricola con filiere alimentari corte anzi…cortissime. Il paesaggio che ne derivava si mostrava alla vista con unoskylinefatto di un mix di profili montani e collinari intercalati da boschi e ampie zone aperte coltivate o pascolate, dove l’uomo lavorava, il tutto intervallato da paesi e frazioni. La trasformazione socio-economica che investì il nostro paese dagli anni sessanta in poi causò il progressivo spopolamento di questo “presepe umano” fino a toccare un minimo storico che più o meno è rimasto tale fino ai nostri giorni. Così tutti a vivere in città a respirare aria inquinata, a lamentarsi della mancanza del lavoro e…a mangiare le susine del sud America arrivate da noi bruciando cherosene nei voli notturni sopra l’oceano Atlantico (filiera lunga!…anzi lunghissima!!!). Intanto, in questi decenni, la natura lentamente ma progressivamente si è riappropriata dei tanti luoghi abbandonati dall’uomo nel passato. Tante radure erbose sono tornate bosco e tanti sentieri si sono persi perché fagocitati dalla vegetazione, così pure molti paesi dell’Appennino sono ormai spopolati. Ora, senza nulla togliere al valore naturalistico dei boschi, la perdita di questi prati montani, tripudio di colori e profumi in primavera, dovrebbe indurci a una riflessione. Se un tempo questi luoghi davano da vivere a tanta gente perché oggi ciò non può più accadere? Certamente la vita di un tempo era fatica e sudore ma oggi ci sono fior di mezzi e attrezzi che potrebbero consentire a molti giovani del terzo millennio di tornare ad abitare quei paesi spopolati per riprendere con passione le attività antiche dei loro nonni. Inoltre le cosiddette praterie secondarie, formazioni erbacee (prati montani) di sotto il limite altitudinale dei boschi, contribuiscono non poco alla biodiversità in quanto ospitano tantissime specie d’insetti e sono un fondale punto di alimentazione per mammiferi e uccelli. Per concludere, chi dovrebbe/potrebbe innescare questo ritorno…al futuro? Innanzitutto la politica, in teoria, per esempio defiscalizzando nuove iniziative di stampo agricolo nei primi anni di avvio. Sulla carta, a livello regionale, esistono i PSR (Piani di sviluppo rurale) strumenti nati per la programmazione e il finanziamento di attività agricole, interconnessi con fondi europei destinati allo scopo. Purtroppo il mostro burocratico italiano non agevola queste iniziative, ma c’è anche da chiedersi…quanti saranno mai i giovani disposti a cambiare vita, salvando così i prati montani?
